Il covid chiude musei, teatri, stadi e perfino planetari e a rimanere ‘a piedi’ non sono solo gli spettatori ma anche chi di cultura ci campa. Per loro infatti, non si tratta solo di avere pazienza, ma vuol dire fare i conti a fine mese. Come nel caso di Gianluca Di Luccio, di Piovene Rocchette, che ha chiuso il suo planetario itinerante ormai da quasi un anno pur essendo finito addirittura nei giornali americani e rimbalzato agli onori della cronaca nazionale.
Ed è proprio lui a lanciare un appello ai sindaci e alle istituzioni del territorio: “Concedete spazi, fate lavorare gli addetti alla cultura. La cultura è una medicina, è nutrimento, è il mezzo per uscire dalla palude”.
Di Luccio si sente sconfitto, ma non molla. “Mi sono rimesso in gioco a 50 anni puntando tutto sulla cultura, ma il covid ha messo l’intero settore a dura prova, a me ha addirittura strappato le radici del mio lavoro”.
Di Luccio e il suo planetario mobile avevano girato in lungo e in largo fino a poco prima del covid.
Una gioia per il 50enne piovenese che s quella ‘sfera’ che racchiude il cielo e le costellazioni aveva puntato tutto, lanciandosi in una sfida impegnativa, in nome della cultura.
Di Luccio, ci racconti il suo planetario.
Il planetario mobile è una specie di ‘stanza’, con la volta celeste. All’interno si fa lezione, si racconta il cielo, le costellazioni, le fasi lunari. Si fa cultura, poesia, scienza, ci si diverte, si insegna, si impara. Si vive insomma. Ci ho creduto e ci credo moltissimo.
E’ finito addirittura in un giornale americano, che ha raccontato con grande entusiasmo la sua attività.
Ha descritto quello che faccio, ha sottolineato che “i miei incontri sono intrattenimento e informazione e la giornalista è rimasta colpita dal racconto del ‘Piccolo Principe’, che faccio sotto le stelle. Anche lo spettacolo ‘M’incanto di Luna’ ha meritato menzione. In effetti, riscuote sempre successo quando lo propongo. E poi il giornalista Loris Ramponi ha scritto di me sottolineando che “non tutti i contributi alla cultura arrivano da libri o televisioni, riferendosi al mio lavoro con il planetario.
Ora però è considerato luogo di assembramento…
Infatti non lavoro da un anno. A volte non me ne rendo nemmeno conto, il tempo a volte scorre velocissimo, altre volte sembra inchiodato e non passa. Il covid ha cambiato molte prospettive.
Che cosa le manca, oltre al riscontro economico del suo lavoro?
Mi mancano i ragazzi, il pubblico, lo scambio con le persone. E mi manca anche il ritorno economico che è fondamentale per vivere, per essere un padre che ha dei doveri. Sono di indole ottimista, ma non posso negare che i problemi cominciano a manifestarsi, dopo anni di investimenti economici, di studio forsennato, di impegno continuo e costante.
Molti artisti lamentano un fermo totale. Lei condivide questo disagio. Il planetario è arte e scuola. Alla fine il settore che più potrebbe aiutare a mantenere alta la voglia di conoscere e vivere è quello che sta soffrendo di più…
Se penso al pubblico sono dispiaciuto, ma io penso anche a me stesso, a noi che con la cultura ci campiamo. A 53 anni, dopo una vita di lavoro, di sacrifici e di impegno costante mi ritrovo a dover aspettare il prossimo Dpcm. Mi sembra assurdo.
A volte ho avuto la tentazione di mollare tutto e trovare un lavoro più ‘regolare’. Ma la considererei una sconfitta nei confronti del mio sogno, verso quei ragazzi che quando vengono al planetario rimangono entusiasti e per tutto il mio pubblico adulto che torna bambino e che ‘vola tra le stelle’ insieme a me nel planetario. Sarebbe una sconfitta per la cultura, perché ogni ambito cultura, anche il più piccolo, deve essere valorizzato non penalizzato. La cultura è una medicina, è la medicina che ci potrebbe aiutare ad uscire da questo periodo buio.
In pratica cosa potrebbe fare di concreto, nel caso l’emergenza covid si prolungasse?
Per quanto riguarda il Planetario, ho pensato anche di investire in una nuova struttura, che rispetti le normative anti covid, in una struttura ‘aperta’ con capacità di 80 posti a sedere, con un nuovo sistema di proiezione ad alta definizione, con mille idee per le lezioni. Ma questa struttura, vista la sua mole e le sue caratteristiche, ha bisogno di una sede fissa, di una sede fissa che io non posso permettermi. Ho bisogno di un Comune che accolga il mio progetto.
Aiutate il mondo della cultura. Concedete spazi, fate lavorare gli addetti alla cultura dando loro fiducia. Investite il vostro territorio, aprite angoli di città, lasciate che le persone possano godere della cultura. Siate complici nel cercare una soluzione, non mettete ancora in pausa la cultura.
La cultura deve risvegliarsi, in tutti i sensi.
Quando annullarono a causa del covid il primo dei tanti appuntamenti in programma per il 2020, mia figlia Valentina fece un disegno con il planetario che dormiva. Lo guardo tutte le sere e tutte le sere mi commuovo. Non vedo l’ora si risvegli. Non vedo l’ora di dire a Valentina di disegnare il planetario che si sveglia, che si riempie, che si illumina, popolato di stelle.
Lei crede moltissimo nella cultura come nutrimento essenziale per la vita e lo spirito.
Non si vive di soli beni materiali, esiste anche un nutrimento dell’anima.
Un bel concerto, un bel film, una conferenza appassionata e accattivante, ammirare le opere d’arte, fare visita a un museo, leggere un buon libro, ascoltare musica, stare in mezzo alla natura, come le mie passeggiate ‘star trekking’, per osservare le stelle camminando in montagna. Sono e saranno sempre nutrimenti per l’anima. Ho sempre creduto e sempre crederò nel mondo della cultura, come miglioramento della società, come mezzo per uscire dalla palude, come mezzo di crescita per i ragazzi, per i bambini, per gli studenti.
Anna Bianchini