Come si fa a diventare padre, per i propri bambini, se si è cresciuti senza averne uno? Prova a rispondere a questa domanda il nuovo romanzo di Cristiano Cavina, ‘La parola papà’, uscito da pochi giorni in libreria per Bompiani. Il libro è costruito su una serie di situazioni, di momenti quotidiani, in cui il protagonista – che i tre figli chiamano “babba, un babbo con la finale da mamme” – sperimenta l’esperienza paterna, confrontandosi con il vuoto, il più delle volte arrangiandosi nella speranza di fare la cosa migliore. “Non ho mai avuto un copione. Neanche un canovaccio. Nessuna regia dietro le quinte. Sono quasi certo che con loro mi toccherà improvvisare finché campo“. Come è accaduto allo stesso Cavina, che di figli ne ha tre. Saranno proprio loro e un gruppo di detenuti a spingerlo a intraprendere un viaggio sulla via Emilia, alla ricerca di una parola che bisogna trovare il coraggio di pronunciare. Perché la risposta alla domanda iniziale non può certo trovarsi nei libri come crede il protagonista. Cavina, che a volte procede per frammenti, allarga la riflessione al potere della letteratura, si interroga sull’onestà della scrittura, sulle narrazioni a cui affidiamo il compito di renderci le persone che siamo. ‘La parola papà’ è un romanzo di formazione dedicato soprattutto ai padri di oggi, sempre più creativi e attenti alla condivisione dei compiti familiari.