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Don Pozza racconta Santa Bakhita su Rai1

Sabato 9 verso le 15.40 e Domenica 10 Gennaio alle 6.20 le telecamere di Rai1 saranno puntate in via Fusinato 51 a Schio dove sorge il Santuario di Santa Giuseppina Bakhita, custodito con tanto amore dalle Suore Figlie della Carità Canossiane.

È il luogo scelto da don Marco Pozza, da dieci anni cappellano del carcere di massima sicurezza “Due Palazzi” di Padova, per commentare il Vangelo del Battesimo di Gesù nella rubrica “Le ragioni della Speranza” che sta conducendo in queste settimane nel Veneto.

Il sacerdote 41enne originario di Calvene racconterà Madre Bakhita all’interno del programma “A Sua Immagine” condotto da Lorena Bianchetti (in onda il sabato dalle 15 alle 16 circa), intervistando Madre Maria Carla Frison e Madre Laura Maier oltre che Gianfrancesco Sartori, presidente dell’associazione Bakhita.

Nativa del Sudan, dove nasce nel 1869, viene rapita al’età di sette anni e venduta più volte sul mercato delle schiave; i suoi rapitori le danno il nome di Bakhita («fortunata»). Nel 1882 viene comprata a Kartum dal console Italiano Calisto Legnani che la affida alla famiglia di Augusto Michieli e diventa la bambinaia della figlia: quando la famiglia Michieli si sposta sul Mar Rosso, Bakhita resta con la loro bambina presso le Suore Canossiane di Venezia. Qui ha la possibilità di conoscere la fede cristiana e nel 1893, dopo un intenso cammino, decide di farsi suora canossiana per servire Dio che le aveva dato tante prove del suo amore. È stata canonizzata da san Giovanni Paolo II nel 2000.

“Il 9 gennaio 1890 – ci racconta don Pozza – chiede di poter essere battezzata, prendendo il nome di Giuseppina. Diventerà suora, la suora moretta: umile fino alla fine, così semplice da essere santa. La sua storia sembra la riproduzione fedele di un altro battesimo, quello di Gesù al fiume Giordano. È il primo battesimo della storia cristiana, il battesimo ch’è il padre di tutti gli altri battesimi. È lì ch’è stato registrato il mio primo vero nome: «Tu sei il Figlio mio». Io mi chiamo “Figlio”: appartengo a qualcuno che mi ha cercato, voluto, fatto nascere”.

S.P.