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Cogollo. Raffaella Calgaro ‘svela’ la Grande Guerra e il dramma del profugato visto da donne e bambini

E’ stato ufficialmente presentato mercoledì scorso nella Sala Tommaseo dell’Ateneo Veneto di Venezia ‘Tutta un’altra storia‘, l’ultimo libro di Raffaella Calgaro ora disponibile nelle maggiori librerie della regione oltre che nelle principali piattaforme online.

L’evento culturale, in collaborazione tra rappresentanza italiana del Consiglio d’Europa-Ufficio di Venezia, Università Ca’ Foscari Venezia, Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto e Europe Direct Venezia Veneto del Comune di Venezia, è stato l’occasione per l’autrice originaria di Cogollo del Cengio e residente tra Montecchio Precalcino e il capoluogo lagunare, per tornare a far parlare le figure ‘minori’ della storia avvalendosi di un lungo lavoro di paziente ricerca e di approfondita ricostruzione delle fonti.

Non solo le donne, quelle tenaci oltre il dolore e anche oltre gli ostacoli di vite violentate dalla Grande Guerra e dalla disperazione di chi ha perso tutto, ma stavolta anche i bambini ormai divenuti adulti e ‘chiamati’ dall’autrice, tramite le parole di figli e nipoti, a rivivere infanzie interrotte o mai vissute. Quelli più piccoli non capiscono, vedono le divise, le armi, pensano quasi ad un gioco surreale: rari i ricordi di gioia, fatti magari solo di una carezza, di uno sguardo amico o semplicemente di piccoli gesti di compassione mai dimenticata.

La presentazione del libro a Venezia

Raffaella Calgaro, docente di lettere e storia e affermata ricercatrice, dopo le felici esperienze letterarie con ‘Adele Pergher, profuga’ e ‘Una maestra ribelle’, torna a raccontare così la sua terra in uno dei periodi più bui, anni che hanno cambiato per sempre il volto di paesi rasi al suolo stravolgendo e sradicando dal suolo natio famiglie che non si sono mai più ricomposte: “Sono grata alle persone che in Altopiano come nei paesi della Valle dell’Astico o della Val Posina” – spiega l’autrice – “mi hanno aperto le porte e hanno condiviso le loro storie, rispolverando vecchie foto e raccontando ciò che hanno sentito dai loro cari quando erano in vita. Con questo volume ho l’auspicio di tornare ancora una volta a sensibilizzare soprattutto i più giovani parlando loro della storia che gli appartiene: non quella dei grandi generali, non quella degli eventi noti o delle gesta eroiche, ma quelle della gente comune che ha lasciato in molti casi il suo piccolo mondo per scappare verso un destino pieno di incognite. La storia di queste persone spesso senza nome, ha fatto la differenza e ciò che siamo oggi lo dobbiamo anche a scelte compiute nella semplicità e nella quotidianità del vissuto di questi nostri antenati”.

Profughi altopianesi

Essenziale come nel caso di Adele o della maestra Agnese, la figura femminile: donne che si riscattano dalle retrovie, quasi una rivincita ed un riconoscimento postumo, pur nel dramma degli accadimenti bellici, della centralità e dell’importanza del loro ruolo: gli uomini sono partiti per il fronte e spetta alle donne non solo farsi carico di figli e di anziani spesso malati, ma di sobbarcarsi sulle spalle il peso talvolta soverchiante di scelte che segneranno l’esistenza di intere famiglie. Donne che fanno lavori pesanti, c’è chi lavora perfino per ripristinare le linee ferroviarie o scava trincee e poi rientra al paese dove è punto di riferimento, per la prima volta, anche per la comunità: donne che devono imparare a scrivere, magari senza aver mai parlato prima l’italiano, donne che trovano la forza di andare avanti, nonostante tutto. Una volontà interiore quasi insospettabile per il contesto storico – siamo nel 1916 durante la Spedizione Punitiva ordinata dall’Impero austroungarico – che fa dell’angelo del focolare, il perno di una necessaria ripartenza: una rottura degli schemi convenzionali tra ciò che fino ad allora era prerogativa dell’uomo e che passa quindi giocoforza nelle mani della donna.

Immancabili poi gli aneddoti che rendono giustizia solo in minima parte all’immane sofferenza del profugato con più di 80mila sfollati solo nella provincia berica: una tragedia nella tragedia specie nell’alto vicentino e nel comprensorio altopianese all’epoca terre di confine dove anche la lingua, il cimbro, diventa elemento di diffidenza per chi questi esuli dovrà accoglierli. All’abbandono dell’umile tetto dove la vita per quanto povera aveva i connotati della dignità, si aggiunge la disperazione di chi non sente più la terra sotto i piedi, quasi un cortocircuito emozionale: c’è chi parte dimenticando gli animali chiusi nel recinto e segnati ad inevitabile morte, chi porta con sè del cibo, ma scorda i vestiti e viceversa. C’è persino la mamma che nella frenesia della partenza perde il figlioletto nel treno, chi addirittura si mette in viaggio e i figli li dimentica a casa: li recupererà, in qualche caso, sotto l’assillo del fuoco nemico qualche giorno dopo. Qualcun altro invece, non li riabbraccerà mai più.

La desolazione di Gallio bombardata

Leggendo i capitoli che compongono ‘Tutta un’altra storia‘, è inevitabile fare un parallelismo con quanto sta succedendo in Ucraina: “Stiamo vivendo le medesime cose” – ammette la scrittrice che si è anche dedicata alla realizzazione di alcune pièces teatrali – “cambia il tempo, cambiano le circostanze ma non cambia la vicenda umana. Alla violenza però, oggi come ieri, l’unica risposta da contrapporre è la forza d’animo per la propria comunità e per la propria famiglia. In attesa di ritrovare la strada della pace”.

Marco Zorzi