All’alba dei loro primi 20 anni di onorata carriera tornano i Valincantà, gruppo musicale folk arsierese che presenteranno il quarto cd “La stessa via” sabato 27 maggio nella palestra della scuola primaria in via Compans a Carrè. “Avrebbe dovuto chiamarsi ‘Venti dalla stessa via’, sottolineando il doppio senso con i 20 anni passati, ma non abbiamo fatto in tempo.” scherza Alberto Bortolan, 43 anni, il più giovane del gruppo, chitarrista e uno tra i due compositori dei brani della band.
La storia dei Valincantà è un susseguirsi di crescita e sviluppo mantenendo saldo l’amore per il proprio territorio. Nascono nel 2002, anche se il nucleo di brani iniziali risale addirittura alla metà degli anni ’70.
Siamo ad Arsiero. Un gruppo di allora giovanotti si unisce per dare l’alternativa a quelle che erano le realtà musicali ufficiali del paese. Tra banda cittadina, il coro alpino e la compagnia teatrale, si è aggiunto questo gruppo che proponeva brani in dialetto veneto con l’ accompagnamento di chitarre, cherango, quena, strumenti tipici della tradizione sia veneta che andina, sfruttando un ottimo polistrumentista ancora attivo, molto bravo nel settore della musica sudamericana. I loro brani in dialetto cantavano la riscoperta della propria identità, che negli anni ’70 era qualcosa di davvero inedito, inconsueto e audace. Si sa, nel corso degli anni i gruppi musicali nascono, muoiono, si riformano, cambiano nome; la stessa cosa accade ai Valincantà, nel 2002 si reinventano e si evolvono: il nucleo dei componenti si ritrova e comincia a riproporre la tipologia di brani che li ha visti nascere, aggiungendone altri di nuova composizione che sono stati scritti e composti nel corso degli anni. Ad oggi i loro testi riportano ancora le origini del mondo veneto che, da una base agricola si è trasformata in una regione industriale. Parlano ancora delle vallate dell’Astico e il Posina che hanno iniziato a spopolarsi, boschi e contrade abbandonate per raggiungere la vita di fabbrica. I brani raccontano la trasformazione di una vallata che abbandona la vita di contrada e si avvicina all’industria. “Per tanti anni siamo rimasti legati a questa percezione di un gruppo che canta aneddoti vecchi e andati, della serie ‘si stava meglio quando si stava peggio’, che in parte è stata anche vera. Sono ancora presenti brani che parlano dell’emigrante che lascia i suoi campi, di chi va in città, di chi emigra in America. Però negli anni abbiamo voluto superare questa visione del passato miticizzato. Continuiamo ad usare il dialetto ma con attualità, volgendo lo sguardo a quello che accade al giorno d’oggi.” Arrivati al quarto cd, il loro focus resta l’identità e la cultura veneta, si parla di come si sta trasformando il veneto, sia da un punto di vista ambientale che a livello sociale e culturale. Da una parte resta il forte legame con l’identità del Veneto, la storicità, la Repubblica di Venezia e il territorio, dall’altra si porge lo sguardo al presente, ad una terra che porta con sé il tema del confine.
Il nuovo album: uno sguardo alle origini contemplando il presente
Il brano che apre il nuovo cd, “Duro e Puro”, racconta con una certa ironia la storia di un veneto legato alle sue radici che, arrivato Venezia per ritrovare la sua identità, scopre che l’unico bambino che parla in veneziano è un bambino di colore. Il resto dei brani prosegue snocciolando macro argomenti che stanno a cuore al veneto medio come la storia, la comunicazione, il cambiamento d’identità come immigrazione del ‘nuovo veneto’ costretto a lasciare la sua terra, e di ambiente. Quest’ultimo, tema principale dell’album, spiega la trasformazione da territorio agricolo a territorio industriale con gli occhi puntati sull’ambiente, spesso rovinato da progetti tecnologici e futuristici, come autostrade, piste da sci, la cava sul Monte Priaforà. Legato al tema ambientale Vilancantà tratta anche di turismo, ad oggi di massa a fronte del turismo dolce, tema che in questi ultimi 5 anni ha visto un notevole cambiamento. “Girasoli de sera”, altro brano di quest’ultimo cd, introduce invece il tema legato alla tecnologia e allude proprio a persone che girano per le strade con il telefono in mano, guardando in basso proprio come i girasoli fanno alla sera. Allo stesso tempo associa il ‘girare da soli’ allontanandosi dalla comunità.
Musica che non mette d’accordo tutti
“Purtroppo c’è del pregiudizio nei riguardi dei Valincantà. Non da tutti i comuni siamo apprezzati e chiamati. – ammette Bortolan. -Per un veneto ascoltare un brano sull’immigrazione non sempre è visto in modo costruttivo. Quando parliamo di immigrazione, è chiaro che non ci scheriamo dalla parte della maggioranza di ciò che pensa il veneto medio. Quando vai a pungolare sul tema dell’identità, se ascolti ‘Duro e Puro’ ti rendi conto che si va un pò a stuzzicare chi pensa che esista la lingua veneta. Anche il fatto stesso di non parlare mai di lingua veneta ma di dialetto, a molti non piace. Per noi il veneto continua ad essere un dialetto.” Si lascia andare Alberto Bortolan e racconta i retroscena dell’essere una band anticonformista in Veneto, che riporta ciò che la società è, e non ciò che vuole sentirsi raccontare.”Un brano del terzo cd, ormai di 7-8 anni fa, è uno dei brani che ho scritto io. Parla della storia di mia nonna che, nata a metà degli anni ’20, doveva fare il sabato fascista come tutti i bambini e doveva andare a scuola con la gonna nera. La mamma, antifascista anche se non figlia di partigiani o militanti, non ha mai fatto la gonna nera a mia nonna, e ogni volta che tornava a casa la mamma le diceva ‘dì doman’, come per posticipare e prendere tempo il più possibile. Un bellissimo brano di Roberto Zotti che parla di immigrazione, “El Buso del Priaforà”, parla del fenomeno, che avviene due volte all’anno al Priaforà, del passaggio di un raggio di sole da quel foro. Il brano parla di questo raggio di sole che vede dall’alto la piazza della vallata e nota i cambiamenti che ci sono stati, quindi persone di colore al posto dei veneti nelle piazze, e così via. A suo tempo è stato un brano che ha creato un pò di ‘mal di pancia’, perché c’era l’idea di doversi difendere dall’invasione. L’identità veneta si costruisce in antitesi a chi arriva qui per portarcela via, quindi rispetto all’invasione degli extracomunitari”.
Laura San Brunone