Antonietta Capriz, 93 anni, di Rotzo è stata insignita della Medaglia della Liberazione in occasione del Settantesimo Anniversario della Lotta di Liberazione. Alla breve cerimonia di consegna che si è tenuta nella Casa di Riposo di Roana, dove Antonietta risiede, hanno partecipato il sindaco Aldo Pellizzari, l’assessore di Roana Nevio Schivo e ovviamente il Prefetto di Vicenza Eugenio Soldà, che ha conferito il riconoscimento.
Grande emozione da parte della partigiana altopianese che come conferma la nipote, presente alla consegna della medaglia, non si è mai vantata dei suoi trascorsi di lotta per la liberazione, anzi non ne ha quasi mai parlato, ma ha contribuito in maniera significativa tanto da meritare un riconoscimento ufficiale. Antonietta è una delle figure più importanti delle lotta partigiana altopianese, nata poverissima e comunista in una famiglia composta solo dalla madre ad Albaredo contrada di Rotzo, sempre con un enorme dignità e spirito di sacrificio, si è consumata i piedi a forza di far la staffetta su e giù per la Valdastico e per i boschi. Una delle più importanti figure partigiane, insieme a Pierino Scaggiari, perché come diceva Dal Pozzo II alias Tempesta, altro partigiano : “In Altopiano quelli che avevano meno, sono quelli che hanno aiutato di più”. Antonietta Capriz ne è un esempio. Giorgio Spiller, artista, scrittore, grande esperto e conoscitore della storia altopianese in particolare quella legata alla Guerra, al profugato, è stato il primo ad intervistarla e a raccontare la sua storia. Nei suo”Treschè Conca e Cavrari terre partigiane”, dice di lei:
‘La staffetta della “Pino” che faceva più chilometri a piedi era Antonietta Capriz , “Anita” di Albaredo: salire e scendere la Val d’Assa, che la divideva da Conca Bassa, dove c’erano i covi più sicuri della “Pino”, per lei era come salire e scendere le scale di casa. Abbiamo scovato “Anita” tra le carte di “Regolo”, che lei chiama “me compare Pierin” e di cui condivideva l’ideale politico. A trasmetterle la fede nel comunismo era stata la madre Maria Costa (1889), che nel dopoguerra lavorava come cuoca nei molti cantieri dove si ricostruiva l’Altopiano dopo il flagello della guerra. La vita é stata subito dura per “Anita”, ma ciò non le ha impedito di aderire senza esitazioni assieme alla madre al movimento resistenziale’.
“Anita” racconta: ‘Mio padre, Pietro Capriz da Gemona, era venuto qui dopo la Prima Guerra con le maestranze che lavoravano alla ricostruzione. Dopo essersi sposato con mia mamma, è andato in Argentina e non si è più visto. Fin da piccola avevo appreso a fare le iniezioni ed è per questo che entrai in contatto con i partigiani di Treschè Conca. Una notte di primavera del ’44 un partigiano è venuto a prendermi e mi ha condotta bendata giù nelle cenge della Val d’Assa per curare un ferito; protestai che non ero un’infermiera, anche se avevo frequentato un corso a Milano; a nulla valsero le mie proteste: mi ritrovai con le fiale e le siringhe in mano. Poi mi hanno riaccompagnata a casa sempre bendata, ma io avevo capito dove era il posto, perché andavo sempre a camminare nei boschi. Poi i fascisti hanno fatto un rastrellamento e hanno preso anche me; eravamo tutti ammassati in un camion; sono finita nelle carceri di Thiene. D – Come mai l’hanno presa ? R – Ero antifascista e ho capito che qua vicino c’erano delle spie. D – E sua madre? 190 R – Mia madre era molto più antifascista di me; non sopportava le autorità dell’epoca. Noi non abbiamo mai visto la tessera annonaria; i fascisti nel rastrellamento ci hanno portato via tutto, salami viveri… anche le foto di famiglia: non mi è rimasto nulla della mia infanzia. In prigione ci sono rimasta quindici giorni: volevano che dicessi loro dove erano i partigiani; mi hanno applicato i cavi elettrici dappertutto, anche nei seni.”.
Giulia Rigoni