Ha compiuto 27 anni quest’anno, è nato per caso come quei figli geniali che ti chiedi da chi hanno preso. Alcuni dicono sia bellissimo, alcuni, meno avvezzi all’arte, lo trovano brutto. Lui, il Cristo del Summano, simbolo supremo dell’Alto Vicentino, svetta fregandosene di quello che pensa la gente. Sa che i suoi fedeli sono fedelissimi e tiene la mano alzata in segno di saluto, gioioso, grintoso e bagordo come la sua terra, fatta di vino e soppressa, di pissacani e bruscandoli.
Nella mente del suo autore doveva sorridere, eppure qualcuno lo vede cupo. Dipende forse dalla fatica che si fa per raggiungerlo, da una salita che toglie il respiro e ti fa arrivare stravolto ai suoi piedi. Giorgio Sperotto, artista 75enne che ha vissuto tra Piovene Rocchette e Marano Vicentino, è il papà del Cristo del Summano. “Ci ho lavorato per mesi, notti incluse, ma quando lo hanno montato sulla croce l’ho visto per la prima volta”.
Giorgio Sperotto, quando e come è nato il Cristo del Summano?
Sono un appassionato di montagna. Salivo spesso sul Summano e la croce di cemento, piantata lì, mi infastidiva. Provavo rispetto, perché era stata portata lì a spalla, nella quindicesima stazione della via Crucis in segno di devozione. Ma non mi piaceva. Un giorno, mentre salivo, ho visto una luce dal Costo che si è riflessa e ha creato un bagliore sulla croce. Lì mi è venuta l’ispirazione di fare qualcosa direttamente sulla croce.
Ed è nata l’idea di Cristo.
Non proprio. Subito avevo pensato ad un qualcosa di astratto. Un rivestimento metallico, non avevo un’idea precisa. Poi ho pensato che dovevo fare una rappresentazione artistica che avesse senso per tutti, comprensibile a tutti. E allora ho pensato che sulla croce dovevo rappresentare Cristo.
Com’è stato accolto il suo progetto dalle istituzioni?
Durante una mostra di sculture in legno, nel 1993, ho illustrato la mia idea all’allora sindaco di Santorso (Terelisa Dall’Alba). L’ha accolta subito con entusiasmo e in pochissimo tempo abbiamo trovato gli sponsor e dato il via ai lavori. Lo abbiamo inaugurato il 17 settembre 1993, in pochi mesi.
Perché in metallo?
Perché volevo riflettesse la luce e non volevo un Cristo classico. Ho scelto l’acciaio, del colore della croce in cemento. 500 ore di lavoro, 100 di disegno, 300 ore di manodopera mia e 100 del mio amico saldatore Gildo Locallo. Se Gildo non avesse lavorato con me il Cristo non ci sarebbe.
L’ho lavorato in lamine, per ridurre al massimo il peso. Il ferro dà sempre l’idea della violenza, non fa mai venire in mente la dolcezza. Ho interpellato Gildo, bravissimo a lavorare e saldare il metallo. Il mio Cristo è un omaggio ai limiti della materia. I capelli ad esempio, sono fatti con scarti della lavorazione, con ritagli, con pezzi venuti male. Il petto invece è fatto da fogli interi. Ma ci sono tanti punti in cui ho usato scarti. Ma va bene così. L’arte non va mai buttata via, basta solo cambiare collocazione e adattarla ad un contesto diverso. I pezzi di materia artistica non vanno mai gettati. Per realizzarlo lavoravo soprattutto la notte. La luce si palesa di notte. La notte sedimenta, distacca, penetra.
Il Cristo ha la mano alzata. E’ molto atipico. Come le è venuta in mente questa posizione?
Non è casuale. Quando l’ho immaginato, sapevo solo che non volevo un Cristo tradizionale. Lo volevo diverso, unico. Quando uno sale sul Summano arriva stanco, senza energia. Si arriva alla cima e si ha bisogno di grinta, di uno stimolo. Ecco il perché della mano alzata. Sembra dire “dai su! Ben arrivato! Bravo!” E poi non dimentichiamo che la posizione evoca Su-Mano. Però non manca di dare anche serenità. Ha lo sguardo sereno, come un amico che ti sprona. Il suo gesto è una reazione di forza, un saluto, un augurio, un invito a cercare oltre la cima.
Cosa ci dice dell’espressione? Anche quella è particolare. Alcuni lo vedono allegro, altri cupo…
Io lo guardo e lo riguardo ogni volta. Mi sembra più serio di quando lo facevo. Mentre lo scolpivo io lo vedevo sorridere. Sorrideva sempre, da qualsiasi punto lo guardassi. Mi alzavo di notte e andavo a guardarlo e lui sorrideva. Ero rapito da lui, gli stavo vicino. Mentre lo lavoravo era steso a terra e a volte io prendevo una scala per guardarlo dall’alto. Ho fatto di tutto per farlo sorridente ed ero davvero convinto lo sarebbe stato. Quando poi è stato installato sulla croce, mi sono reso conto che non lo avevo mai visto, è come se io lo avessi visto per la prima volta. Oggi quel sorriso che vedevo io si vede solo salendo da Santorso, arrivando da Schio, quando il Cristo appare attraverso la boscaglia
Che emozione ha provato quando è stato installato sulla croce?
Un’esplosione di sentimenti. La cosa più emozionante è stata sentirlo partire con l’elicottero. Quando ho sentito il rumore dell’elicottero, ho creduto di morire. Pesa 7 quintali e mezzo, io mi sentivo come sospeso nel vuoto mentre lo guardavo alzarsi in volo. Poi sono stato travolto dal panico. Fino al giorno prima ero salito a prendere le misure, a controllare ogni centimetro e mentre lo vedevo volare pensavo “e se ho sbagliato le misure?” Poi mentre era in volo e io in cima alla vetta, quando è arrivato me lo sono trovato davanti tutto storto, mezzo capovolto e ho provato un misto di terrore e gioia.
E’ stato incredibile. Ad un certo punto, la mano che era stata attaccata alla croce si è staccata. Un alpinista che era sul posto è salito sulla croce e l’ha riagganciata. Si chiamava Angelo e per me è stato come un segnale divino. C’era poi un tramonto rosso fuoco che toglieva il respiro da quanto bello era (Giorgio Sperotto si commuove). Il giorno dopo sono tornato a vederlo e non riuscivo a credere che fosse così bello. Pensi che una signora, moglie di un grandissimo bestemmiatore, anni dopo mi ha raccontato che quel giorno suo marito, mentre lavorava nel campo, si è trovato il Cristo sopra la testa appeso all’elicottero e da allora non ha più bestemmiato.
Ha ricevuto solo apprezzamenti o anche critiche?
Ho ricevuto moltissimi apprezzamenti, anche per l’idea innovativa. E anche alcune critiche. Di solito io non ho problemi a ricevere critiche, ma quelle superficiali mi hanno molto ferito. Poi ho imparato a prenderle per quello che erano: superficiali appunto.
Sale spesso in cima al Summano a trovare la sua ‘creatura’?
Molto spesso. E quando salgo ascolto i miei pensieri, guardo la gente che lo guarda. Non mi riconoscono, mi piace ascoltare i loro commenti. Alcuni lo trovano bellissimo, altri orrendo. Io sorrido quando lo criticano e se capita spiego la sua storia. Quando lo vedo mi dimentico di essere stato io a farlo. Vederlo mi fa bene, mi dà grinta, mi stimola. La sua mano alzata mi dice sempre “Dai Giorgio, muoviti!”
Anna Bianchini