Ad un anno dalla manifestazione organizzata per puntare il faro sulla Sanità dell’Alto Vicentino e le criticità riscontrate all’ospedale di Santorso, alla quale hanno partecipato quasi 5mila persone, c’è l’appuntamento per un altro presidio.
Questa volta ad organizzarlo è USB (Unione dei Sindacati di Base), che alle 13 di giovedì 19 novembre intende spiegare a chi parteciperà alla manifestazione tutto quello che non va nella sanità locale, la mole di lavoro a cui sono sottoposti medici e infermieri e le motivazioni del grande sciopero nazionale previsto per il 25 novembre, al quale parteciperanno lavoratori dei Trasporti Pubblici, della Suola, della Sanità e dei Servizi Educativi.
“Nonostante gli sforzi che a volte hanno del miracoloso da parte di medici, infermieri, oss e tutto il rimanente personale, il nostro tanto decantato modello sanitario veneto, esempio di eccellenza mondiale, si sta sciogliendo come neve al sole. Gli ospedali non riescono più a garantire le prestazioni no Covid, le case di riposo tornano a essere trappole mortali, con l’aumento del tasso di mortalità e un impatto devastante sull’aspettativa di vita nel medio e lungo periodo; servizi territoriali smantellati negli anni, i posti letto tagliati, gli ospedali e i distretti chiusi (o ridotti a locali amministrativi), prestazioni sanitarie pubbliche ridotte in favore delle convenzioni con privati, mancate assunzioni negli ospedali e nelle Ipab. Stanno fallendo i sistemi di tracciamento e collassando i Ps e le altre divisioni ospedaliere coinvolte, medici, infermieri e oss sono di nuovo alle prese con carichi di lavoro insostenibili, con orari di 12/14 ore e 7 giorni su 7 mentre aumentano i casi di contagio tra gli operatori – e continuano a non essere garantite le condizioni di lavoro in sicurezza, Medici e infermieri di ospedali mandati nelle Ipab a sostituire il personale colpito dal Covid, dove esistono pure carenze di sistemi di protezione. Un’epidemia che a primavera mette in ginocchio tutti – sottolineano – un’estate di tregua interpretata come fine pandemia. Non vogliamo trovarci di fronte alla scelta di se morire di Covid o morire di fame. Per uscire dalla pandemia servono assunzioni stabili e il rafforzamento e la ricentralizzazione della sanità pubblica, sottraendola alle guerre territoriali dei governatori; occorrono una medicina territoriale funzionante, dipartimenti di prevenzione efficienti, DEA rafforzati, più posti letto e la garanzia delle prestazioni no Covid. Le richieste della garanzia del reddito e del diritto alla salute marciano di pari passo. Ogni giorno che passa si dimostrano sempre più fondate le motivazioni dello sciopero della Sanità Pubblica, delle ASP e delle IPAB indetto da USB per mercoledì 25 novembre. E ogni giorno che passa conferma l’esigenza e l’urgenza di rappresentare la rabbia e l’amarezza degli operatori sanitari, sacrificati una volta di più sull’altare della lotta alla pandemia. È la cronaca a ribadire quotidianamente, in modo impietoso, la carenza di personale, la sofferenza degli ospedali non solo in termini di posti letto, l’inconsistenza della medicina territoriale. Tutto questo perché nei mesi in cui il virus è sembrato in ritirata non sono state fatte poche e semplici cose che avrebbero evitato al Servizio Sanitario Nazionale di precipitare nella drammatica condizione attuale”.
Lo sciopero del 25 novembre
Si annuncia un giovedì 25 novembre decisamente ‘caldo’ per la mobilitazione congiunta annunciata da Usb (Unione Sindacati di Base) per i lavoratori e le lavoratrici del Trasporto Pubblico Locale, delle Scuole di ogni ordine e grado, inclusi i Servizi Educativi rivolti alla fascia 0-6 anni, e della Sanità pubblica, “nuovamente sottoposti a ritmi massacranti e a rischi seri per la propria salute e sicurezza”.
La motivazione è molto semplice e sono proprio i rappresentanti sindacali a spiegarla: “In nessuno di questi settori l’esperienza della prima fase dell’emergenza ha prodotto il necessario cambio di passo rispetto ad assunzioni stabili di personale e finanziamenti per mettere in atto tutte le modifiche che la ‘lezione’ della Covid-19 ha chiaramente indicato. Inoltre, quel che è completamente mancato è soprattutto un lavoro di pianificazione integrata di questi servizi”.
Sempre i sindacati sottolineano: “Era chiaro che con la riapertura delle scuole, a settembre, la curva dei contagi sarebbe nuovamente cresciuta. Il rimpallo costante di competenze tra Stato, Regioni e Comuni, l’assenza di un qualunque progetto di screening di massa, la colpevole mancanza di un indirizzo politico in grado di contrastare i feroci obiettivi di Confindustria e del mondo produttivo che vuole rimanere aperto a tutti i costi, a scapito di salute e sicurezza, l’assenza di misure universali di reddito e di tutela per le fasce di lavoratrici e lavoratori più colpiti dalla crisi, tutto questo ci ha fatto precipitare in una situazione fuori controllo che non vogliamo più accettare passivamente. Ognuno di questi servizi essenziali deve essere messo nelle condizioni di garantire i diritti costituzionali per i quali ha ragione d’essere, salute, educazione e istruzione su tutti, e non può diventare luogo di trasmissione incontrollata del virus. È un messaggio che lanciamo alle lavoratrici e ai lavoratori, ma che può essere colto e compreso da chi quei servizi li incontra come utente, come cittadino che usa il trasporto pubblico, come individuo che in un momento di disorientamento e paura come questo deve rivendicare il diritto alla salute e a cure appropriate, come genitori e famiglie che hanno a cuore il diritto all’educazione, all’istruzione e alla socialità per i propri figli e non possono pensare che il legame educativo a distanza (Lead) o la didattica a distanza (Dad), possano assolvere a questo compito, come studenti che si trovano privati (alle scuole superiori per ora, ma anche nel secondo e terzo anno della secondaria di primo grado) del luogo e dell’ambiente all’interno del quale devono avvenire processi consapevoli di apprendimento, di crescita, di costruzione delle possibilità di garantirsi un futuro dignitoso e stabile, a livello personale ma anche e più ancora a livello collettivo. Per invertire la rotta, per rimettere al centro gli interessi collettivi, per cambiare le priorità sociali occorre rivendicare diritti,assunzioni stabili, finanziamenti, ma occorre pensare a un modello di società diverso, che abbiamo voluto riassumere in una formula: Nuovo ruolo e funzione dello Stato. Uno Stato che non sia il comitato d’affari della borghesia, ma il luogo in cui gli interessi della popolazione diventano organici e determinano le scelte politiche per il benessere comune. Questo passa da una serie di rivendicazioni specifiche che avremo modo di articolare nei prossimi giorni. Le porteremo con forza nei luoghi di lavoro, le rappresenteremo pubblicamente in una diretta streaming in cui inviteremo la politica a prendersi le proprie responsabilità, raccontando le ragioni di uno sciopero che ci porterà il 25 novembre davanti al MEF, in tante città del Paese e in tanti luoghi simbolo delle rispettive rivendicazioni. Non accettiamo più il ritornello sui soldi che mancano, USB ha anche avanzato una proposta dettagliata di utilizzo dei fondi del Recovery Fund in un libretto significativamente intitolato ‘Costruiamo il futuro’, che è anche la sintesi dei percorsi di rivendicazione e proposta dei settori coinvolti. Contro il lockdown dei padroni proponiamo un piano di messa in sicurezza e potenziamento dei servizi pubblici essenziali, quelli che servono a tutti, quelli che devono diventare il cuore della gestione di questa drammatica fase oggi, e domani del suo superamento. Il 25 novembre scioperano Sanità, Trasporti, Scuola e Servizi Educativi 0-6. Costruiamo il futuro”.