poli raggi home

 “Si allarga sempre più la protesta degli agricoltori contro le politiche agricole dell’Europa e le scelte dei governi, ma anche contro la carne coltivata, le farine d’insetti, le tasse, il gasolio, la svendita dei terreni. Il mondo dell’agricoltura europeo lancia l’allarme: le politiche comunitarie e la strategia avviata da Frans Timmermans nelle vesti di commissario europeo per il clima e Green Deal europeo assieme ad accordi internazionali, anche bilaterali, che aprono la porta alle importazioni di alimentari dall’estero e a triangolazioni scorrette, rischiano di compromettere in modo severo l’intero comparto agricolo del continente. Tanto rigidi sono i disciplinari per gli agricoltori europei quanto elastiche sono le frontiere dell’Unione dalle quali transitano in entrata prodotti agroalimentari e florovivaistici senza che siano applicate le cautele, gli esami e le quarantene che devono invece superare i nostri prodotti quando vengono esportati. Aggiungiamo poi il peso della burocrazia, i costi del credito cresciuti in maniera esponenziale e avremo un quadro desolante, in verità un’autentica miscela esplosiva che non a caso sta infiammando oggi l’intera Unione”.

Il Presidente del Consiglio regionale del Veneto, Roberto Ciambetti, interviene così in merito alle proteste del mondo agricolo nei confronti delle politiche comunitarie.

“L’agricoltura rappresenta circa il 4,5% dell’occupazione totale dell’UE, circa 9,4 milioni di persone che gestiscono però circa il 38,4% dell’area totale dell’Unione Europea come terreno agricolo utilizzabile, qualcosa come 157,4 milioni di ettari, operando complessivamente su una superficie totale, comprese dunque le aree boscose e terreni non utilizzati per l’agricoltura, di 190.382.400 ettari: buona parte del territorio europeo, dunque, è gestito da 9,4 milioni di cittadini, che sono i primi guardiani della qualità dell’ambiente nonché tra la prime vittime dei cambiamenti climatici, per cui direttamente interessati a sostenere ogni politica di transizione sul clima e il sul Green Deal. Ma un conto è sostenere un approccio graduale, che si sviluppa in maniera progressiva nel tempo, un altro è imporre ‘hic et nunc’ restrizioni, limiti, procedure pesantissime: troppe aziende agricole, già in difficoltà per la complessa congiuntura economica, i costi di produzione sempre più alti, la concorrenza sempre più forte, saranno costrette a chiudere anche perché la maggioranza dei cittadini e delle famiglie, colpite dall’inflazione, riducono i consumi dell’agroalimentare come abbiamo visto nell’ultimo biennio”, prosegue il Presidente.

“Azzoppare il settore primario, metterlo in difficoltà, significa aprire la strada alle multinazionali pronte a inondare i nostri supermercato e negozi di carni sintetiche, farine d’insetti e amenità varie a basso costo economico e infimo valore nutrizionale. Nessuno deve essere contrario alla sperimentazione e alla ricerca soprattutto se tesa a migliorare la qualità della vita e a combattere la fame nel mondo ma, oltre a salvaguardare il principio della prudenza, oggi non possiamo neanche lasciare campo aperto alle multinazionali che spogliano il cibo del suo significato culturale, così come del legame con il territorio e con la Natura, multinazionali che si arricchiscono a nostre spese e a spese della nostra salute. Già oggi negli scaffali dei nostri supermercati abbondano prodotti, magari importati in Italia attraverso triangolazioni con Paesi europei diciamo compiacenti, provenienti però da paesi extra UE dove sono ammessi pesticidi, diserbanti e concimi potenzialmente pericolosi, persino cancerogeni. Davanti a questi scenari la protesta degli agricoltori deve far riflettere tutti: non dimentichiamo che noi siamo quello che mangiamo”, conclude il Presidente.

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