di Federico Piazza

Le difficoltà strutturali in cui ormai da anni si dibatte la filiera industriale dell’auto in Italia e in Europa colpisce specialmente la metalmeccanica. Ovvero, il comparto principe della manifattura vicentina, dove negli ultimi dodici mesi si è registrato un forte aumento della cassa integrazione e crescono i timori per la tenuta occupazionale. La metalmeccanica inoltre è alle prese con un difficile rinnovo del contratto collettivo di lavoro, per il quale i sindacati di categoria hanno annunciato altre otto ore di sciopero nazionale entro fine aprile.

Morgan Prebianca, segretario generale di Fiom Cgil Vicenza, sottolinea che per il rilancio del settore dell’auto è necessario mantenere la barra diritta sulla transizione tecnologica elettrica e che sono inderogabili investimenti su produzione, ricerca e sviluppo e aumenti salariali che aumentino il potere d’acquisto dei dipendenti.

Secondo l’Osservatorio Ca’ Foscari sono 10mila gli addetti della filiera vicentina dell’automotive.  Tra questi, quanto sono occupati in aziende meccaniche dedicate alla fabbricazione di componenti di mezzi di trasporto stradali?

«Dai dati di bilancio 2023 risulta che in provincia sono 1548 i lavoratori e le lavoratrici in aziende metalmeccaniche della filiera automotive (codice Ateco 29), con un valore di produzione pari a 421 milioni di euro. A queste vanno aggiunte le imprese metalmeccaniche che lavorano in quota parte per il settore automotive. Nel Vicentino sono infatti presenti diverse aziende metalmeccaniche di componentistica, ma anche aziende che producono in parte materiali legati alla filiera automotive, come fonderie e acciaierie. Purtroppo tutte risentono della crisi dell’automotive sui volumi, e il calo si scarica sulle paghe dei lavoratori falcidiate dalla cassa integrazione».

I dazi Usa che colpiranno le esportazioni europee in Nord America si aggiungono al rallentamento del mercato europeo e della Germania in particolare, alla difficoltà della transizione elettrica per le case europee, alla continua riduzione della produzione italiana di Stellantis. Che fare rispetto alle difficoltà dei componentisti auto italiani, veneti e vicentini?

«Gli effetti sulle lavoratrici e i lavoratori rischiano di essere incalcolabili, soprattutto considerando insieme dazi e delocalizzazioni. Serve urgentemente aprire a livello nazionale ed europeo un tavolo di confronto promosso dalle istituzioni con i sindacati e le imprese per costruire un piano che protegga i lavoratori. È ora di aprire a relazioni industriali e commerciali nuove per impedire alle oligarchie di distruggere lavoro e industria. È necessario più che mai alimentare la domanda interna rinnovando contratti nazionali che permettano ai lavoratori un aumento di salario oltre l’inflazione, recuperando il loro potere d’acquisto».

Il rallentamento del Green Deal Ue in ambito automotive, togliendo divieto endotermico 2035 e multe ai produttori sui mancati target di vendite di elettrico e prevedendo totale neutralità tecnologica, è una strada corretta?

«Assolutamente no. L’Italia potrebbe produrre due milioni di veicoli, e invece ne produce 500mila. Ci vuole un investimento straordinario, di cui si faccia carico anche il governo, per la transizione ecologica salvaguardando l’occupazione. Dobbiamo produrre non solo auto elettriche, ma anche tutto quello che c’è intorno ad esse».

C’è chi sostiene la necessità di riconvertire almeno una parte della filiera auto verso altri settori come aerospazio, trasporti pubblici, difesa. Qual è la posizione del sindacato?

«Come Fiom Cgil riteniamo che serve un pacchetto straordinario di risorse per investimenti su produzione, ricerca e sviluppo e occupazione. Governare la transizione non vuol dire passare dal green al militare».

In passato un operaio della Fiat era in grado di acquistare un’utilitaria con meno mensilità di stipendio rispetto ad oggi. Per tornare a quei livelli di potere d’acquisto, se non aumentano in maniera considerevole gli stipendi, occorre che diminuiscano i prezzi delle auto. Che invece sono saliti, tant’è che nella fascia di listino più bassa si trovano sempre meno modelli, spesso comunque prodotti in Est Europa (Serbia, Romania) o extra Ue (Turchia, Marocco, in prospettiva in Asia se prenderà piede l’importazione di vetture fabbricate in Cina). Cosa fare per rilanciare la produzione di auto e relativa filiera in Europa?

«L’industria automobilistica europea si trova nel mezzo del percorso verso la transizione all’elettrico e necessita di scelte strategiche molto importanti da parte dei decisori politici. A partire dalla Commissione Europea, che deve stanziare risorse per un pacchetto straordinario di misure a sostegno di decisioni prese, per imprimere più forza ai cambiamenti tecnologici accompagnati da un piano di garanzia occupazionale attraverso il blocco dei licenziamenti, per la riduzione dell’orario, per azioni per la formazione e ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro. La transizione non è possibile contro il lavoro».

Un commento sulla vertenza del contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici?

«Federmeccanica, il sindacato delle aziende metalmeccaniche, ha bloccato il rinnovo del contratto e si sta dimostrando irresponsabile. Non vuole riconoscere le richieste dei lavoratori e delle lavoratrici metalmeccaniche contenute nella piattaforma Fim-Fiom-Uilm. Non vuole riconoscere che serve un aumento salariale che vada oltre l’inflazione né discutere di come eliminare la precarietà che dilaga nel mondo del lavoro. Non vuole discutere di diritti dei lavoratori degli appalti e di riduzione dell’orario di lavoro. Ciò dimostra la miopia degli imprenditori metalmeccanici, che non capiscono che nella piattaforma dei lavoratori c’è la ricetta per rilanciare l’industria di settore e far ripartire l’economia di questo Paese. Finché Federmeccanica non aprirà una trattativa partendo dalle richieste dei lavoratori, gli scioperi e il conflitto nelle aziende non si fermeranno».

 

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