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Marano Vicentino. Via Elisabetta Manea, vittima della strage i Bologna: l’inaugurazione della nuova via

Sarà inaugurata il 3 agosto 2024 alle 11,  la nuova via Elisabetta Manea – una laterale di via Prole – a Marano Vicentino, in una cerimonia pubblica con il Sindaco e la famiglia De Marchi, a cui tutta la cittadinanza è invitata a prendere parte per portare avanti la memoria della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980.

Elisabetta Manea (nelle foto allegate) viveva a Marano Vicentino dal 1949, in via Capitello di Sotto, dove, alla morte del marito Alessandro avvenuta nel 1970, era rimasta con i quattro figli. Il 2 agosto 1980 si trovava in stazione a Bologna con Roberto, il più giovane dei suoi figli, che aveva 21 anni ed era un promettente pallavolista della squadra Volley Sottoriva di Marano Vicentino. Madre e figlio erano partiti di buon mattino con meta la Puglia: un lungo viaggio per andare a trovare alcuni parenti. La prima tappa era Bologna, dove avrebbero dovuto prendere una coincidenza. Arrivati in stazione decisero di non uscire, ma di attendere il treno in sala d’aspetto: fu proprio qui che l’esplosione colse Elisabetta, mentre il figlio era sul marciapiede del primo binario.
“Immaginando come sarebbe potuta continuare la libera esistenza di Elisabetta, di suo figlio Roberto e delle altre vittime, possiamo trovare forza e stimoli per preservare i valori di libertà, democrazia, primato e dignità della persona, giustizia sociale, che il terrorismo di ogni tempo intende soppiantare”, afferma il Sindaco, Marco Guzzonato.

Nella delibera della Giunta dedicata all’intitolazione della nuova via viene ribadito come solo ricordando il valore, tra le altre, della vita di Elisabetta Manea – donna maranese dedita alla cura della famiglia -, sarà possibile continuare ad alimentare la coscienza civica nel condannare il terrorismo e la violenza.
“Si è deciso di intitolare una via ad una donna vissuta a Marano Vicentino, anche per appoggiare la richiesta pervenuta dalle volontarie dello Sportello Donna del nostro paese, assieme all’equipe della cooperativa sociale Con Te, per riparare al grande disequilibrio di genere nella toponomastica maranese, intervenendo nelle intitolazioni di strade, piazze, aree verdi e spazi pubblici affinché ci sia il riconoscimento dei meriti di donne che sono parte di quella Storia che comprende anche noi, uomini e donne di oggi”, aggiunge l’assessora Elena De Marchi.

La memoria della strage alla stazione di Bologna continua giorno dopo giorno e in occasione del 2 agosto 2024, oltre all’intitolazione della nuova via, sono in programma diverse altre iniziative a Marano Vicentino. Il 2 agosto, alle 8.00 nella chiesa di Santa Maria Annunziata, sarà celebrata una santa messa, mentre una delegazione dell’Amministrazione comunale parteciperà al corteo e alla cerimonia a Bologna. Sabato 3 agosto, alle 20.30 nella Stazione delle Arti (via Stazione), Gianfranco Bettin e Maurizio Dianese presenteranno il libro “La tigre e i gelidi mostri. Una verità d’insieme sulle stragi politiche in Italia” (Feltrinelli, 2023). L’ingresso è libero e in caso di pioggia la presentazione si terrà in biblioteca.
Il manifesto (allegato) del Comune di Marano Vicentino che ricorda la strage di Bologna quest’anno è a cura di Ife Collective con l’artista Giulia Deganello, e ripercorre idealmente – attraverso le sue “nicchie verdi” – proprio il viaggio che Elisabetta Manea e Roberto De Marchi avrebbero dovuto compiere quel giorno da Marano Vicentino a Putignano (Bari).

La strage di Bologna e le novità processuali

Alle 10.25 di sabato 2 agosto 1980, un ordigno ad altissimo potenziale esplose nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione ferroviaria di Bologna. L’esplosione provocò il crollo della struttura sovrastante la sala d’aspetto e di trenta metri della pensilina. Investì anche due vetture di un treno in sosta al primo binario. Le conseguenze dell’esplosione furono di terrificante gravità anche a causa dell’affollamento della stazione in un giorno prefestivo di agosto. Rimasero uccise ottantacinque persone; oltre duecento furono ferite. Quel giorno cominciò anche una delle più difficili indagini della storia giudiziaria. L’iter processuale non è ancora concluso.

A oggi sono stati condannati in via definitiva come esecutori materiali i terroristi neri dei Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR) Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, e per attività di depistaggio il capo della loggia P2 Licio Gelli, gli ufficiali dei servizi segreti Pietro Musumeci (P2) e Francesco Belmonte e il faccendiere Francesco Pazienza. Per la partecipazione alla strage è stato condannato, in primo e secondo grado, anche Gilberto Cavallini; nel cosiddetto “processo ai mandanti” sono stati condannati, sempre in secondo grado, Paolo Bellini, accusato di strage (in concorso con i NAR già condannati, Gelli, Ortolani e D’Amato), l’ex capitano dei carabinieri Piergiorgio Segatel (è accusato di aver mentito per depistare), e Domenico Catracchia, accusato di false dichiarazioni al Pubblico Ministero.
Tra le altre cose è stato accertato che nel 1981 i NAR avevano ben due covi in via Gradoli, ai numeri civici 65 e 96. E quello al civico 96 si trovava nella stessa unità immobiliare in cui aveva vissuto il capo delle BR Mario Moretti durante il sequestro Moro, nel 1978, e l’appartamento era riconducibile a una società collegata ai servizi segreti. Il generale Quintino Spella era stato rinviato a giudizio per depistaggio, ma è morto nel gennaio 2021, ultranovantenne.

L’Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, nel manifesto commemorativo del 2024 evidenzia questa frase: “Sappiamo la verità e abbiamo le prove”. Infatti, la strage del 2 agosto 1980 non è uno dei tanti “misteri italiani” di cui ancora non sappiamo. “Esistono sentenze passate in giudicato e sentenze di processi in corso che non solo definiscono ‘fascista’ la strage, ma anche ne indicano esecutori, mandanti, organizzatori, finanziatori, depistatori, delineando con precisione il contesto istituzionale e paraistituzionale in cui è stata ideata e realizzata”, sottolinea Guzzonato.
Il lavoro incessante dei consulenti dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna svolto nell’ultimo decennio sulle copie digitalizzate degli atti dei processi ha fatto emergere elementi di enorme interesse. In particolare, dai faldoni del processo celebrato a Milano per il crack del Banco Ambrosiano del piduista Roberto Calvi, riaffiora il cosiddetto “documento Bologna”. Il foglio, che reca nell’intestazione il nome della città e un numero di conto bancario, insieme a un altro appunto di Gelli relativo a rilevanti movimenti di denaro prima della strage, per tramite di tale “M. C.” (identificato in Mario Ceruti, factotum di Gelli e suo “cassiere” in Svizzera, stando alla Commissione P2), per un totale di ben 5 milioni di dollari, è il punto di partenza di una nuova istruttoria, condotta dalla Procura Generale di Bologna: la cosiddetta “inchiesta sui mandanti”.
“Il processo, nel valutare le responsabilità degli imputati (un altro possibile esecutore materiale e nuovi depistatori), rivaluta alla luce dei nuovi elementi il ruolo di Gelli e altre figure di vertice della P2 come Umberto Ortolani e Federico Umberto D’Amato in veste di possibili finanziatori e ispiratori della strage e dei relativi depistaggi, per i quali è chiamato in causa anche il giornalista Mario Tedeschi, anche lui deceduto”, prosegue l’assessora De Marchi.

Lunedì 8 luglio 2024, la Corte d’Assise d’Appello di Bologna ha dunque confermato la condanna all’ergastolo per Paolo Bellini, imputato per concorso nella strage alla stazione di Bologna, a sei anni per depistaggio all’ex capitano dei Carabinieri Piergiorgio Segatel e a quattro anni per falsa testimonianza all’ex amministratore di condomini in via Gradoli, a Roma, Domenico Catracchia. Secondo l’ipotesi accusatoria del primo processo (quello principale che ebbe come imputati i vertici dei NAR, insieme a Licio Gelli e alcuni ufficiali del SISMI, ex SID, il servizio segreto militare dell’epoca), la Strage di Bologna era stata organizzata dai vertici dell’eversione di destra “storica”, a Roma e in Veneto, ai quali facevano riferimento le nuove leve di giovanissimi. Un reticolo criminale facente capo, a sua volta, alla Loggia P2, dunque protetto e tutelato dalle forze di sicurezza, i cui massimi vertici erano affiliati alla Loggia di Gelli. La P2 sarebbe stata l’attore politico-criminale responsabile non solo dei depistaggi, ma della regia e dell’uso politico della strage, mentre Fioravanti e i NAR sarebbero serviti da “killer della P2” (lo sospettava anche Cristiano Fioravanti, fratello di Giusva, e lo disse al Giudice Falcone). L’ipotesi, all’epoca, non trovò conferme sufficienti in sede di giudizio, anche a causa del ciclone di depistaggi che devastò l’istruttoria. Quarant’anni dopo, però, il processo Cavallini e l’inchiesta sui mandanti hanno portato alla luce elementi nuovi che riprendono, confermano e approfondiscono molte linee probatorie del primo processo, collegandole tra loro, a disegnare un quadro che consente di rivalutarne il valore e il significato.

“La sentenza del ‘processo mandanti’ a nostro avviso rende giustizia, una decisione attestante la rilevanza di un quadro probatorio che certifica la gravità e dimensione dei coinvolgimenti in questa vicenda, pur a distanza di molti anni”, affermano Guzzonato e De Marchi. “È una sentenza che conferma le condanne e il ruolo degli apparati deviati dello Stato nella strage del 2 agosto 1980, finalizzata a colpire la Repubblica e la democrazia del nostro Paese. Un atto di violenza che ha colpito Bologna, ma che aveva come obiettivo lo stravolgimento dell’assetto democratico dello Stato. La coscienza dei fatti è il presupposto per ogni cambiamento”, concludono