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Fulmini estivi: come gestire il rischio. L’intervista all’esperto

Durante la stagione estiva, aumenta la frequenza delle escursioni e delle salite alpinistiche in alta quota. Quando il meteo è instabile, i fulmini rappresentano un pericolo da non sottovalutare ed è fondamentale una corretta informazione e preparazione sul tema. Il Collegio Nazionale Guide Alpine propone questa intervista a Giacomo Poletti, ingegnere ambientale e docente di meteorologia per il Collegio Guide Alpine del Trentino da oltre 13 anni, per fornire alcuni utili consigli su come riconoscere le condizioni meteorologiche potenzialmente pericolose, le misure preventive da adottare e le strategie di comportamento in caso di temporali improvvisi.

Poletti, ci spiega brevemente perché le aree montane sono più soggette ai fulmini rispetto alle pianure?
Le aree montane sono più soggette alla caduta di fulmini per almeno tre motivi: il primo è che rocce e versanti, riscaldandosi sotto il sole più dell’aria circostante a pari quota, finiscono per essere un punto di innesco dei moti convettivi dell’aria (cioè di moti di galleggiamento verso l’alto). C’è poi l’effetto di sollevamento forzato sui venti indotto dalla presenza dei monti, e anch’esso gioca a favore dell’innesco di temporali proprio sopra i rilievi. Inoltre, una volta nati i temporali, le vette si trovano alla minor distanza dalla base delle nubi e questo le rende i punti spesso più colpiti.

Come si formano i fulmini?
Esistono vari tipi di processi che portano al fulmine. All’interno della nuvola l’aria sale: tendenzialmente quindi le piccole particelle leggere di acqua o ghiaccio salgono dentro la nube trascinate verso l’alto dal flusso, e collidono con i chicchi di grandine o le gocce grosse, più pesanti, che invece cadono verso la parte bassa del cumulonembo. Ogni singolo urto separa delle cariche elettriche (la molecola d’acqua ha infatti una distribuzione non simmetrica delle proprie cariche e questo ne permette la separazione per contatto). Con il passare dei minuti la nuvola accumula cariche negative in basso, all’interno delle gocce grosse e dei chicchi di grandine, e positive in alto, diventando una sorta di “super” pila. Per induzione, a quel punto, dal suolo le cariche positive migrano sotto la nube, richiamate dalla sua base negativa.
L’aria, essendo un buon isolante, mantiene le zone di carica opposta separate, ma quando il campo elettrico supera un certo limite, dalla nube si stacca un flusso di elettroni invisibile, detto scarica guida, che si dirige verso terra. Quando si trova a qualche decina di metri dal suolo, dallo stesso parte verso l’alto una scarica di ritorno. Quando il circuito fra le due scariche si chiude esplode il fulmine più frequente e classico, il nube-terra. Se il circuito si chiude all’interno della nube, si parla di fulmine intranube, se con altre nuvole vicine, di fulmine nube-nube. Tutte scariche potenzialmente pericolose per chi si trova in alta quota.

Ci sono segnali precursori che indicano il rischio di fulmini?
Sì, ma si manifestano spesso con assai poco anticipo, per cui resta fondamentale mettersi al riparo per tempo mettendo in pratica azioni adeguate. Quasi sempre pochi istanti prima dello scoccare del fulmine si avvertono crepitii nell’aria o ronzii dalle attrezzature metalliche; in certi casi i capelli si elettrizzano e si alzano. Inoltre, da oggetti elevati o appuntiti come croci, pali o alberi, possono fuoriuscire getti e bagliori di aria luminescente, spesso azzurrognola, ionizzata (i cosiddetti fuochi di Sant’Elmo). Tutti questi casi sono estremamente pericolosi perché indicano che il circuito fra nube e suolo potrebbe chiudersi a brevissimo. Occorre abbassarsi immediatamente di quota e far sì che il nostro corpo e/o la nostra attrezzatura non risultino le cose più elevate dei dintorni, una regola aurea da seguire sempre durante i temporali. Vorrei evidenziare inoltre la differenza fra fulmini negativi, che sono i “classici” fulmini che cadono sotto o nei pressi del temporale, e i fulmini positivi, che scoccano a grande distanza dal temporale perché si originano dalla parte alta della nuvola. Questi ultimi sono rari, ma potenti e molto dannosi, spesso fanno vittime perché le persone sottostimano la pericolosità del temporale vedendolo ancora distante. Come regola di base, se odo i tuoni entro 30 secondi dal fulmine (ergo, a una distanza di non oltre 10 chilometri data la velocità del suono di circa 3 s/km) ho un potenziale rischio.

Cosa dovrebbe fare una persona se si trova all’aperto in montagna durante un temporale?
Ci sono diverse condotte in base ai casi ma si parte dalla regola appena detta: noi e la nostra attrezzatura (anche fissa, come le tende) non dobbiamo mai risultare la cosa più elevata dei dintorni, e dobbiamo pure evitare di trovarci vicino agli oggetti più elevati, siano essi alberi, pali o altro. Andiamo con ordine, partendo dal caso in cui ci si trova all’aperto senza possibilità di trovare riparo. Di base devo calare velocemente di quota ricordando che i fulmini più pericolosi e frequenti sono prima dei rovesci (cadono spesso “in aria calda”); abbandonare creste e cime, il centro dei canali e i versanti esposti. Una volta arrivato il temporale, non devo correre o camminare, ma bensì fermarmi e proteggermi in punti depressi o concavi (in avvallamenti, buche) accovacciandomi “a riccio” e tenendo i piedi il più possibile uniti, un’azione che ci protegge se il fulmine ci cade vicino perché limita molto le differenze di potenziale elettrico fra i due piedi. Nel caso in cui stessimo invece correndo o camminando, un fulmine che si scarica al suolo potrebbe indirettamente folgorarci per via della corrente di passo – data dalla differenza di potenziale fra i due appoggi. Naturalmente devo evitare di fermarmi vicino o sotto gli alberi, specie se isolati e/o elevati.
Se siamo in gruppo, dobbiamo separarci, adottando singolarmente le misure appena dette. Restando assieme il rischio è di produrre pericolose colonne di aria calda che sono un percorso preferenziale per i fulmini (il noto effetto “camino” spesso fatale per le greggi) o di condurre la corrente ai compagni. Se siamo in acqua, devo subito uscire; l’acqua infatti è un ottimo conduttore di corrente e i fulmini tendono a dissiparsi sulla sua superficie.

Dove trovare e come scegliere un riparo? 
In una cavità naturale (grotta) o artificiale (ex forti militari, ruderi) devo evitare di sostare agli imbocchi per evitare di creare un arco elettrico facendo ponte fra pavimento e soffitto. Non va bene nemmeno appoggiarmi alle pareti (specie se bagnate) e devo anche evitare le correnti d’aria (i flussi possono costituire dei percorsi preferenziali per le scariche). Devo quindi cercare un angolo interno protetto dove accovacciarmi senza toccare le pareti. Va bene anche sedersi sullo zaino. Naturalmente se riesco a raggiungere un luogo chiuso, ben venga: sì alle auto (proteggono grazie all’effetto “gabbia di Faraday” purché non si tocchi la carrozzeria metallica) e agli edifici. In quest’ultimo caso, una volta dentro, non apro rubinetti (le tubazioni possono essere un ottimo conduttore di scariche), stacco i cavi da eventuali prese ed inoltre sto lontano da camini e caminetti accesi o ancora caldi (ancora una volta evito potenziali colonne d’aria calda). In ghiacciaio e su piani innevati, devo cercare di spostarmi ai margini delle spianate. Spesso infatti il vento catabatico sui pendii innevati e sui ghiacciai viene percorso in modo sub-orizzontale dai fulmini.

E’ vero che moschettoni, oggetti metallici e smartphone attirano i fulmini?
Non è vero, sfatiamo infine un falso mito, non serve abbandonarli. Possono però scaldarsi (“effetto Joule”) e ustionarci in caso siano attraversati da correnti vaganti. La scelta corretta è di metterli all’interno dello zaino o comunque non a contatto con la pelle, portandoli con noi. Da letteratura, il pericolo di fulmine cessa quando non sento più tuoni per almeno mezz’ora. Se ho uno smartphone, potrei valutare in autonomia il cessato pericolo osservando i radar meteorologici e/o i dati sulle fulminazioni in diretta.

Se qualcuno viene colpito da un fulmine, cosa bisogna fare?
La domanda necessita di una risposta di carattere medico se parliamo di primo soccorso; alcuni aspetti intersecano comunque anche la natura meteorologica del fenomeno. La maggior parte dei lesionati da fulmine lo è non per la caduta diretta della scarica sul corpo (caso che comunque non sempre è mortale, specie se i soccorsi vengono prestati prontamente) ma soprattutto perché la scossa cade nelle vicinanze, entro qualche decina di metri. Possiamo sfatare alcune false credenze: il corpo ovviamente non immagazzina corrente elettrica e la vittima di fulminazione va soccorsa subito come da prassi, chiamando il 112 e seguendo le indicazioni fornite, con eventuale massaggio cardiaco e respirazione bocca a bocca. Da ricordare che le scariche elettriche producono violente contrazioni muscolari, pertanto non è raro vedere i colpiti da fulmine con delle fratture. Si registrano inoltre arresti cardiaci, ustioni e lesioni di altro tipo (ad esempio al timpano per il fragore del tuono).

Cosa succede quando un fulmine colpisce il suolo o una struttura in montagna?
In generale un fulmine che cade a terra si dissipa seguendo le fratture o le sezioni del suolo più umide. Da sottolineare la possibilità di vaporizzazione della linfa sugli alberi, che “esplodono” letteralmente se colpiti, scagliando pezzi di tronco e corteccia anche a molti metri di distanza. Un effetto dirompente lo si può avere anche su punte di roccia, sebbene sia assai più raro. Per gli edifici, i danni classici si osservano sui camini e sulle tegole ma se gli impianti sono ben progettati, scaricano senza danni qualunque fulminazione. Proprio il miglioramento del patrimonio edile sta avendo un ruolo sul calo di mortalità da fulmine osservato in Italia.

Ha qualche dato statistico sul numero di incidenti causati dai fulmini in montagna in Italia o sulle Alpi?
Dall’European Severe Weather Database viene tenuta traccia dei danni da fulmine e delle vittime; mentre l’Istituto Superiore di Sanità non fornisce statistiche mirate. In Italia i morti per fulmine sono passati da 40/50 casi l’anno negli anni ‘80 ai 10/15 attuali, grazie a una maggiore attenzione alle previsioni, alle allerte garantite dagli enti preposti e al miglioramento tecnologico degli impianti elettrici che evitano sovratensioni fatali. In montagna e sulle Alpi i casi sono complessivamente meno di 10 all’anno, ma i numeri decuplicano se consideriamo le lesioni non mortali.
Esiste una stagione o un periodo dell’anno in cui i fulmini sono più frequenti nelle aree montane?
I temporali sono chiaramente correlati alla radiazione solare e alle temperature, quindi si registra un massimo annuale nel mese di luglio nelle ore più calde, con i picchi delle fulminazioni dalle ore 13 alle 17 e frequenze che restano più alte alla sera rispetto alla mattina. Con il progredire della stagione calda i temporali tendono a spostarsi verso il centro delle catene: ad esempio a maggio e giugno c’è una maggior frequenza sulle Prealpi, già libere dalla neve e quindi più calde. Sullo spartiacque e in Alto Adige invece è agosto il mese più temporalesco. A settembre statisticamente c’è un calo dell’instabilità per l’accorciarsi delle giornate e l’arrivo delle prime inversioni termiche, che stabilizzano la colonna d’aria. Va segnalato comunque che sui monti italiani per tutto l’anno, inverno e notti comprese, c’è possibilità di vedere dei temporali. Negli ultimi anni ad esempio stiamo osservando una estensione dei temporali oltre la stagione calda, con fulminazioni anche a gennaio o ad inizio inverno, specie quando i mari sono più caldi della norma.

Come influisce il cambiamento climatico sulla frequenza e l’intensità dei temporali e dei fulmini in montagna?
L’intensità dei temporali sta aumentando, così come il diametro medio dei chicchi di grandine osservati. Sulla frequenza dei temporali per ora non ci sono segnali chiari. Il cambiamento climatico sta portando in primis un aumento delle temperature, con un conseguente aumento dell’evaporazione dai mari, più caldi del passato, e quindi dell’umidità disponibile nell’aria. Alte temperature e alte umidità sono entrambi carburanti fondamentali per la “macchina temporale”; non sono sufficienti però, dato che serve anche una “accensione”. L’innesco è dato da correnti fresche in quota o comunque da venti in quota, condizioni che però l’anticiclone africano smorza per lunghi periodi. Ci troviamo quindi di fronte a un clima più estremizzato, con fasi anticicloniche anche lunghe prive di instabilità, alternate a peggioramenti drastici e temporali più intensi del passato. Basti pensare che a luglio dell’anno scorso in Friuli si è siglato il record europeo di diametro di un chicco di grandine, ben 19 centimetri. La statistica sui fulmini è ancora breve e il dato varia molto di anno in anno, per cui non è possibile dire se il loro numero sia in aumento o meno.

Ci sono cambiamenti significativi nel rischio di fulmini che possiamo aspettarci in futuro?
Come detto, in un mondo più caldo è lecito aspettarsi temporali più intensi ed estesi durante più mesi dell’anno, in linea con il trend che si sta già osservando in Italia.

Come posso informarmi sulla probabilità di temporali? Si possono prevedere?
I temporali sono prevedibili, sebbene non puntualmente. Tuttavia invito ad informarsi sia con i bollettini regionali (www.meteoregioni.it) sia consultando dei nuovi prodotti sperimentali, frutto del lavoro di professionisti, come pretemp.altervista.org per l’Italia o, a livello europeo e in inglese, estofex.org. Entrambi i siti valutano in termini di probabilità, con mappe e testo, la previsione di temporali per il giorno successivo, un ausilio fondamentale. Nel breve termine è invece utile il supporto dei radar meteo, che leggono i temporali e il loro movimento, e soprattutto dei siti che riportano la caduta di fulmini in diretta, come lightningmaps.org e blitzortung.org.