Un pensionato su due (49,8%) si dichiara caregiver, idem più di un lavoratore su tre (37,4%), e sono per lo più donne: sei su 10 si occupano di un genitore, uno su 10 segue due persone contemporaneamente. E l’82% si sente abbandonato dalle istituzioni, da cui quali ritiene di ricevere poco o nessun sostegno. E anche se il 70% afferma di aver bisogno di aiuto per svolgere l’attività di caregiver, generalmente fa tutto da solo: il 67% non ha altre forme di supporto come assistenti familiari (badanti) o assistenza domiciliare integrata (Adi). Tra i lavoratori, solo il 10% può contare sul welfare aziendale o altre misure contrattuali, e il 34,8% segnala che prendersi cura di un familiare non autosufficiente impatta significativamente sulla vita professionale. Il 55,4% ha dovuto lasciare il lavoro o lo studio per fare il caregiver. Inoltre, il 52,8% dei caregiver ritiene pesante o molto pesante il proprio ruolo, con il rischio di ammalarsi a sua volta: il 45,8% dichiara peggioramenti nella propria salute fisica, e il 57% nella propria salute mentale. Queste percentuali arrivano dal questionario “Caregiver in Veneto: avere cura di chi ha cura”, che Fnp Veneto e Cisl Veneto hanno diffuso nei mesi scorsi, grazie al Caf Cisl. La Fondazione Corazzin (il centro studi Cisl Veneto) ha potuto elaborare i dati su 2.163 risposte: 1.687 lavoratori (indagine gennaio 2025) e 476 pensionati (indagine aprile 2024). La Fnp Veneto ha voluto indagare la realtà dei caregiver familiari: dato che i Centri servizi anziani (le cosiddette case di riposo) offrono in Veneto un posto letto a circa il 10% dei 328.000 over 65 non autosufficienti, si è voluto scoprire cosa avviene fuori dalla gestione istituzionalizzata. La ricerca restituisce un quadro dei bisogni legati alla gestione della non autosufficienza e “un grido d’aiuto comune a lavoratori e pensionati”.

Chi fa il caregiver familiari letteralmente non sa “dove sbattere la testa” e da qui seguono gli altri problemi. Il “grido d’aiuto, peraltro, non riguarda prendersi cura solo di anziani non autosufficienti, seppur questi costituiscono e costituiranno i maggiori beneficiari di questa assistenza dato l’andamento demografico”: nel 2042 il 10,1% dei veneti avrà più di 80 anni (fascia in cui avviene più frequentemente la perdita di autonomia), mentre oggi i cosiddetti “grandi anziani” sono il 7,9% della popolazione, e agli inizi del millennio erano il 3,7%. I caregiver familiari oggi sono “i grandi invisibili del welfare”, dice la Cisl. Al momento, solo la legge di bilancio del 2018 parla di assistenza gratuita e volontaria a un familiare non autosufficiente riconosciuto invalido. In base a questa definizione, vengono erogate delle indennità: soldi del Fondo nazionale per la non autosufficienza ripartiti alle Regioni che poi li distribuiscono con bandi. “Ma tutelare i caregiver, cioè aver cura di chi prende cura, va oltre la mera erogazione di sostegni economici”, dice la Cisl alla luce dei dati raccolti dalla sua sigla dei pensionati. Se a livello nazionale una legge quadro sui caregiver è prevista nell’ambito della legge delega anziani, in Veneto nei giorni scorsi in commissione sono arrivate due proposte di legge regionale. “Non abbiamo paura di affermare che questo passaggio, seppur iniziale, sia merito anche del nostro lavoro di studio e sensibilizzazione”, commenta Tina Cupani, segretaria Fnp Veneto. “È ora che anche il Veneto affronti con determinazione questo tema, dando risposte concrete a migliaia di caregiver che quotidianamente dedicano il loro tempo ai loro cari con un riconoscimento pressoché nullo. Confidiamo che si arrivi all’approvazione del testo prima della fine della legislatura”, esorta Cupani.

Già 11 Regioni si sono dotate di una normativa: l’Emilia-Romagna è stata la prima nel 2014, il Friuli-Venezia Giulia “ha scritto recentemente una di quelle più avanzate”. Il senso di abbandono espresso dai caregiver familiari “nasce proprio dall’assenza di un quadro normativo- continua Cupani- con una legge, si può finalmente fare un censimento dei caregiver familiari: sapere chi sono e quanti sono, e far uscire dall’ombra coloro che sono di fatto caregiver ma non sanno di esserlo. Si possono analizzare i loro bisogni e programmare servizi, monitorandoli. Con una legge, si garantiscono equità e trasparenza sia nell’accesso a questi servizi sia alle risorse. Quello che manca ora è dare un percorso chiaro a chi si trova in una condizione di bisogno”. Molti lavoratori devono conciliare lavoro e cura di un familiare, aggiunge Stefania Botton (segreteria Cisl Veneto con deleghe alle Politiche del sociosanitario) e “l’assenza di misure di sostegno porta a stress, assenteismo, riduzione della presenza al lavoro e, in alcuni casi, costringe addirittura al suo abbandono, con una perdita di produttività per le aziende e una penalizzazione soprattutto per le donne, che sono la maggioranza dei caregiver”. E la Cisl vuol portare nella contrattazione di secondo livello proposte di ,permessi aggiuntivi retribuiti o congedi allargati, voucher per assistenza domiciliare, convenzioni con strutture residenziali, sostegno alla flessibilità lavorativa per chi ha carichi di cura. Per la sua complessità, “la questione dell’assistenza alla non autosufficienza non può essere affrontata solo con bonus una tantum, ma deve prevedere un sistema globale di interventi strutturali. Ciò potrà essere consentito dall’avvio degli Ats, che dovranno garantire i Leps socioassistenziali in modo omogeneo sul territorio veneto”, conclude Botton.

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