L’83,6% dei caregiver familiari si sente abbandonato dalle istituzioni, dalle quali ritiene di ricevere poco o nessun sostegno. E anche se il 70,4% afferma di aver bisogno di aiuto per svolgere l’attività di caregiver, il 59% fa tutto da solo: non ha, ad esempio, altre forme di supporto come badante o assistenza domiciliare integrata (ADI). Mentre l’87% non si appoggia a una rete sociale esterna, come il volontariato. Il 55,9% ritiene pesante o molto pesante prendersi cura del proprio familiare, con il rischio di ammalarsi a sua volta: il 46,2% dichiara peggioramenti nella propria salute fisica, e il 53,8% nella propria salute mentale. E quasi la metà, il 46,6%, ha dovuto lasciare il lavoro o lo studio per fare il caregiver. Queste percentuali sconfortanti sono tra i risultati principali del questionario “Caregiver in Veneto: avere cura di chi ha cura”, che la Fnp Veneto ha diffuso nei mesi scorsi tra i propri iscritti, potendo quindi elaborare i dati su circa 500 risposte.
«Le difficoltà espresse dai nostri iscritti nascono dalla mancanza di una normativa nazionale e regionale, che regoli in modo uniforme e universale i diritti e i doveri dei caregiver familiari», commenta Tina Cupani, segretaria generale Fnp Veneto. «La disabilità – continua – e quindi la non autosufficienza hanno diverse forme: si può nascere con una disabilità, ci può essere un evento improvviso che la determina o si può sviluppare nel processo di invecchiamento. Il comune denominatore è che essa ricade in primo luogo sulle famiglie, e non saper dove “sbattere la testa” è il primo ostacolo, da cui scaturiscono gli altri».
È importante sottolineare che la distribuzione del questionario esclusivamente agli iscritti alla Fnp Veneto, il sindacato dei pensionati Cisl, ha permesso di investigare il fenomeno dei caregiver familiari in una popolazione con un’età mediamente alta, quindi di anziani che per lo più assistono altri anziani. Infatti, gli assistiti sono per il 59,7% i propri genitori, il 15,1% si occupa del coniuge o del partner, mentre una importante percentuale di caregiver si prende cura di fratelli/sorelle (5,5%) o suoceri (4%). Il 27,9% dedica tra le 10 e le 20 ore settimanali al proprio congiunto, mentre per il 22,9% l’impegno è di oltre 40 ore settimanali, praticamente un “lavoro” full time.
I caregiver familiari, sottolinea Cupani, «sono i grandi invisibili del welfare: al momento l’unica definizione di caregiver in Italia è quella scritta nella Legge di Bilancio del 2018» che, sostanzialmente, parla di assistenza gratuita e volontaria a un familiare non autosufficiente riconosciuto invalido. In base a questa definizione vengono erogate delle indennità: sono soldi del Fondo nazionale per la non autosufficienza ripartiti per le Regioni, che poi li distribuiscono generalmente con bandi. «Tuttavia ci sono diverse discrepanze tra questa definizione e la realtà. Realtà in cui, per esempio, ci si può ritrovare a essere caregiver all’improvviso», continua la segretaria. Ma tutelare i caregiver, cioè aver cura di chi prende cura, va oltre la mera erogazione di sostegni economici.
Ad esempio, l’Emilia-Romagna è stata la prima a dotarsi nel 2014 di una legge regionale, dopo di lei altre dieci regioni ma non il Veneto. «In Emilia-Romagna hanno costruito per il caregiver un chiaro percorso di riconoscimento come soggetto attivo della rete di welfare, al quale sono garantiti nel territorio supporti precisi, obbligatoriamente previsti anche dai Piani di zona. Non sarà mai troppo presto farlo anche da noi, considerando anche che a livello nazionale si è mosso finalmente qualcosa con la Legge Delega Anziani, ma i tempi vanno accelerati», conclude Cupani con un riferimento al Tavolo tecnico per l’analisi e la definizione di elementi utili per una legge statale sui caregiver familiari, istituito a febbraio 2024 dai ministeri della Disabilità e del Lavoro.