Per alcuni i ricordi d’infanzia si portano nel cuore con amore e gratitudine, per altri generano un’insieme di domande in loop che non trovano risposta. La storia di Marta Rech, 77 anni di Pedemonte a Valdastico, è un concatenarsi di vicissitudini indotte da terze persone che hanno costruito non solo la sua infanzia, ma anche plasmato l’intera la sua vita. Il suo racconto si snoda attraverso il tempo e le generazioni, dove lei è stata testimone e protagonista di una saga familiare che ha al suo centro la figura di Maria Longhi in Rech, matriarca generosa e donna di grande cuore, che ha contribuito nell’arricchimento dei beni materiali della chiesa di Santa Maria Assunta di Brancafora a Pedemonte nel corso degli anni, dando un grande contributo alla comunità. “Il Cristo sull’altare maggiore fu un regalo di mia nonna. Maria Longhi in Rech” ha precisato la devota nipote. “Era una donna molto generosa con la Chiesa, ha pagato anche il battistero che poi è stato cambiato, ma anche tre poltrone, un tappeto lungo rosso che dall’altare arrivava fino all’entrata e molte altre cose.” Una nonna amorevole alla quale non è stato permesso vedere i propri nipoti e che ha cercato di compensare questa lontananza facendo del bene alla comunità. Una lontananza che Marta Rech ricorda bene: “Ho passato tutta l’infanzia in collegio, ho sofferto e imparato a convivere con la solitudine. Alla mia nonna paterna, benestante, non era permesso stare accanto ai nipoti e per questo ha donato molto alla chiesa di Pedemonte. Mia mamma si è sposata due volte, noi figli le obbedivamo. Non ho avuto affetto se non quello di mio marito che ho sposato con tanti sacrifici. E ora che mia madre ha 95 anni, posso prenderle il viso e dirle che le voglio bene”.
La vita familiare, tra collegio e lontananza dalla madre
Marta Rech ci apre una finestra sulla sua vita, lo fa quotidianamente sul suo profilo Facebook che aggiorna tra novità di Pedemonte e racconti della sua vita. Uno strumento fondamentale che l’ha aiutata a superare la morte dell’amato marito Piero 7 anni fa. Nelle sue parole spiega le dinamiche della sua famiglia con parole cariche di emozione, rivelando un tessuto di relazioni complesse, momenti di profonda solitudine e atti di incondizionata generosità. La sua narrazione inizia con la storia della madre, rimasta vedova a soli 23 anni con tre figli piccoli:
“Mia madre Silvana è rimasta vedova a 23 anni con tre figli, di due, quattro e cinque anni. Ora gli anni sono passati, lei nel frattempo ha perso due figli, due mariti, e oggi ha 95 anni – racconta Marta cercando di delineare con coscienza il percorso di sua madre. – Oggi c’è mia sorella che aiuta la mamma con le sue faccende, come il fare la spesa. Vado a trovarla quasi tutti i giorni e le telefono tutte le sere per darle la buonanotte. In questo periodo mia sorella è ammalata, quindi ci vado io tutte le mattine. Certe volte trovo la mamma che sta facendo colazione, altre è già sulla poltrona. Spesso mi guarda e dice: “Sei stata fortunata a sposare Piero” mentre io penso ‘ma quanto ho sofferto per poterlo sposare’. Tutte le mattine, quando arrivo a casa sua e poi vado via, prendo la sua faccia tra le mie mani, le do tanti baci perché, nel bene e nel male, è sempre la mia mamma.”
L’amore smuove gli eventi
Ci vuole molta bontà d’animo per perdonare con amore e compassione, e Marta Rech ne ha da vendere. La sua vita è stata costellata da sacrifici e battute d’arresto, ma ha comunque trovato il modo di ritagliarsi il suo piccolo angolo di paradiso costruendo con coraggio la sua nuova famiglia. “Ci sono amori che durano una vita e amori che durano un mese. Era sabato 14 febbraio del 1970 . Tre volte alla settimana veniva a trovarmi un ragazzo, Gian Piero, ma tutti lo chiamavano Piero o Pierino. Lo vedevo passare tutti i giorni quando andava a lavorare. Continui i litigi con i miei che non volevano che lo vedessi. Era troppo giovane, ‘era dei Ciechi, ai ciechi bevono tutti’. Era povero, suo papà è morto a 53 anni e lui, che era il più piccolo, è andato a lavorare. ‘Non è un ragazzo per te’ mi dicevano, e lui per amore taceva. Quel giorno liti più del solito. Ha sentito che mi sgridavano, sono scesa da lui in garage con la porta aperta al freddo. Mi ha preso il viso tra le mani e mi ha detto ‘ Marta, non posso più sentire che ti trattano così male per colpa mia. O ti lascio o ti sposo.’ “Cominciai a piangere. Per un minuto mi guardò, mi diede un bacio, mi asciugo le lacrime e mi disse ‘Ti amo, ti sposo!’.” A questo punto Marta prese la decisione di essere protagonista della sua esistenza e abbraccia la sfida d’amore di iniziare una nuova vita con il suo amato Piero, con l’aiuto della suocera che ha vegliato sul loro destino. “Andò da sua madre e le disse ‘Fammi la firma, non ho ancora 21 anni e voglio sposarmi’. Sua madre rispose ‘Portala qui a casa, sarà per me la figlia che non ho avuto, dopo 3 maschi. Quando mia suocera morì io ero con lei”.
Maria Rech in Longhi, la nonna paterna amata e ammirata da lontano
Il racconto di Marta si intreccia poi con la vita di Maria Longhi in Rech, la nonna paterna, la cui generosità ha segnato la comunità di Pedemonte. Attraverso donazioni significative alla chiesa di Santa Maria Assunta di Brancafora, Maria ha lasciato un segno indelebile, donando non solo beni materiali ma anche un esempio di profonda fede e impegno verso la propria comunità.
“Papà e mamma si sposano nel 1945, nel 1946 nacque Ruggero, nel 1947 io, nel 1949 Edoardo. Mamma e papà erano felici fino a che nel 1951 papà muore di tumore. Mamma e nonna erano sconvolte, per la nonna era l’unico figlio. Mamma ebbe un forte esaurimento: c’erano tre bambini piccoli da accudire, due mucche da gestire, i campi da lavorare, i prati da segare. Cominciarono i primi malumori, le prime liti tra nonna e mamma. Io e Ruggero venimmo messi in collegio a Santorso, il più piccolo con la nonna materna. Mamma andò a lavorare a Lavarone in un albergo, noi in collegio. Non aveva tempo di venire a trovarci spesso. Passarono gli anni e nel 1956 mamma si risposò con il figlio della sorella della nonna paterna, pagando L.12’000 di dispensa. Per la chiesa erano cugini e nonna Maria non accettava il matrimonio. A quel punto la mamma se ne andò di casa con il nuovo marito restando comunque a Pedemonte. Quando tornavamo a casa dal collegio, non potevamo salutare la nonna e quando la vedevamo dovevamo chinare la testa. Il sacerdote del paese andò a trovarla dicendole ‘c’è da comprare un crocifisso grande da mettere sull’altare maggiore’ e la nonna ha pagato. ‘Poi ci sarebbe da fare il battistero nuovo’ e la nonna ha pagato ancora. ‘Ci sarebbero da comprare tre poltrone per la chiesa’ e ancora una volta la nonna ha pagato. Nel 1968 mia madre e il secondo marito, con i loro tre figli, andarono ad abitare a Firenze. Tornò il sacerdote e disse ‘ci sarebbe bisogno di una tovaglia ricamata in oro per l’altare’ ma questa volta la nonna rispose ‘Mi dispiace, la mamma dei miei nipoti è andata via e ora mi occuperò di loro.’e il sacerdote non tornò più. Nel 1970 mi sono sposata, sono andata ad abitare nell’appartamento della nonna. Quando morì io ero la con lei. La chiesa ha avuto i suoi regali, io non ho avuto niente. I due appartamenti li ha lasciati al nipote più piccolo”.
Generosità, potere materiale, amore romantico ma difficile da conquistare. Le battaglie che Marta Rech, i suoi fratelli e tutta la sua famiglia hanno dovuto affrontare, arrivano a mettere un punto quando l’importanza del perdono ne fa da padrone, insieme alla capacità di andare oltre le ferite del passato. “Secondo me la nonna ha fatto così tanti doni alla chiesa anche perché non parlava più con mia madre, per ripicca. Quando ero in collegio le suore mi spronavano a continuare con gli studi e a me piaceva molto. Ho fatto sei giorni di commerciale, poi sono venuti mia mamma e mio zio ad interrompere tutto, dicendo che non avevano soldi da buttar via e che avevano già la mia retta, cosa non vera perché il collegio era finanziato dalla regione.”
Nonostante tutto il tormento vissuto, questa storia dimostra come l’amore e l’idea dell’amore possa riuscire comunque ad abbattere anni di solitudine e di rancore: “Amo la mia mamma, ora finalmente la posso baciare e abbracciare”.
Laura San Brunone