Il Lanificio Rossi di Schio compie 200 anni, ma gli scledensi che si aspettavano degni festeggiamenti per il marchio e la famiglia che hanno fatto la storia della città, sono destinati a rimanere delusi.
I fuochi d’artificio celebrativi, in senso metaforico (ma non troppo), in città non ci sono stati e tutto lascia intendere che Francesco e Alessandro Rossi, il marchio Lanerossi e tutta la Schio che è nata proprio dal ‘Big Bang Rossi’, trascorreranno il bicentenario in sordina.
E pensare che non si parla di personaggi qualunque o di un marchietto nato nei mercatini cinesi. Quando si dice ‘Francesco e Alessandro Rossi’, a Schio, c’è la piena consapevolezza di nominare personaggi che hanno fatto, ma soprattutto cambiato la storia locale (e non solo). All’inizio del novecento, il Lanificio Rossi era la maggiore impresa italiana, che produceva vari tipi di tessuti di lana destinati ai più svariati scopi: dagli abiti ai panni, dalle coperte ai filati per aguglieria e utilizzi industriali. Un’azienda all’avanguardia, in grado di commerciare in tutto il mondo attraverso una capillare rete vendita in Usa, Urss, Germania, Polonia, Sud Africa, Canada, eccetera. Il tutto, quando in Alitalia si mangiava ancora su piatti di ceramica e il fax era il mezzo di comunicazione più all’avanguardia. Alla Lanerossi hanno lavorato praticamente tutti e ancora oggi, i vecchi dipendenti, si commuovono quando ricordano la vita in azienda.
La Lanerossi era la Lanerossi quando è nata la classe operaia e i sindacati dovevano ancora organizzarsi. “Le dipendenti anziane mi raccontano ancora oggi di quando andavano a lavorare in bicicletta arrivando anche da fuori Schio”, racconta una signora che è a stretto contatto con qualcuno che, alla Lanerossi, ha dato l’anima. Lì sono nati i primi riti aziendali, come la campanella suonata due volte, la pausa, le chiacchiere tra colleghi di lavoro che diventavano amici per la vita. Storie di grandi cambiamenti dell’umanità, della società locale, che da contadina è diventata industriale. Storie di uomini e donne che hanno messo da parte aratri e mattarelli e hanno imparato mestieri. Storie di giovani che hanno cominciato a volere una vita moderna, a mettere da parte i soldi per acquistare l’auto e a desiderare un titolo di studio. Storie di lavori in ‘catena di montaggio’, in filanda, divisi per piani alla Fabbrica Alta a seconda del ruolo. Storie di uomini che hanno imparato ad essere manager, a viaggiare per lavoro e a tornare a casa orgogliosi di aver portato la loro produzione del mondo.
Se a Schio i Rossi sono stati ricordati sottotono e con piccoli eventi che hanno avuto poco risalto, a rendere omaggio alla Lanerossi ci ha pensato la famiglia Marzotto, attuale proprietaria del marchio, che a Pitti Uomo, a Firenze, ha svelato i suoi tesori d’archivio nella mostra ‘Il filo rosso delle idee. Lanerossi 200 anni’. In esposizione la storia dell’azienda e dell’Italia intera, la comunicazione usata per rendere grande il marchio e raccontare i contesti economici, produttivi, sociali e culturali che hanno contraddistinto le vicende di una delle maggiori industrie italiane del settore tessile e leader europeo nei primi anni del Novecento.
Che cosa sarebbe stata Schio senza ‘i Rossi’? Difficile dirlo, quel che è certo è che la città non potrebbe sfoggiare la sua famosa archeologia industriale né il parco e l’oasi del ‘visionario’ Alessandro e sicuramente non avrebbe i numeri per auto-eleggersi comune capofila dell’Alto Vicentino. Comprensibile quindi la polemica scaturita dalla mancata celebrazione del bicentenario.
Paragonando le commemorazioni per il centenario della Grande Guerra, che coinvolgono un territorio di vaste dimensioni e attirano migliaia di turisti, per il bicentenario dei Rossi, Schio avrebbe potuto vivere un anno di celebrazioni e convegni. Un anno in prima linea, in pole position, come merita chi può vantare così tanta storia in un lembo di terra che non fa nemmeno provincia. Inevitabili le polemiche, con chi ha accusato l’amministrazione comunale di “aver avuto una grave svista” e chi lamenta “declino culturale”. “Alessandro Rossi può essere senza dubbio annoverato tra i più grandi ed illuminati imprenditori italiani”, ha commentato qualcuno, mentre altri hanno raccontato episodi di familiari coinvolti nella vita imprenditoriale di un’azienda che ha fatto la storia industriale italiana e nella quale, da bravi veneti, “non esistevano Pasqua, Natale e Capodanno”.
A tentare di placare gli animi con la promessa di non lasciar passare il bicentenario in sordina, è sceso in campo l’assessore Aldo Munarini, che ha invitato ad aspettare la fine dell’anno prima di giudicare. “Eventi si terranno dalla metà del mese di dicembre per ricordare questo importante anniversario”, ha commentato l’assessore.
Parole con il retrogusto della scusa, di chi vuole mettere una toppa nello strappo, ma che gli scledensi più devoti hanno accolto di buon grado, fiduciosi soprattutto, che ci sia ancora il tempo per stupire. Ora gli occhi sono puntati sulla parte finale dell’anno, perché davanti a nomi come Francesco e Alessandro Rossi, davanti al marchio Lanerossi, davanti al Parco e all’Oasi Rossi e davanti ad un edificio come la Fabbrica Alta, c’è chi spera ancora nei fuochi d’artificio e si augura davvero che la toppa proposta dall’amministrazione comunale sia una toppa sfavillante.
Anna Bianchini