Non sono bastati gli appelli di vegani, politici e personaggi pubblici per disincentivare l’abitudine di mangiare agnello e capretto a Pasqua e i teneri ovini hanno trionfato sulle tavole della maggior parte dei vicentini.

Pranzo in famiglia o in agriturismo per i più, con una spesa variabile tra i 35 e i 55 euro a persona, sempre all’insegna della tradizione e della riscoperta dei piatti tipici.

Nessuno è riuscito quini a mettere agnello e capretto fuori gioco. Così come hanno confermato i principali distributori vicentini, infatti, la vendita di questo tipo di carni non è affatto diminuita, nonostante le campagne disincentivanti promosse da più personalità a livello nazionale. “Sulle tavole dei vicentini, la gran parte dei quali sono rimasti a celebrare la Santa Pasqua in famiglia non sono mancati carne d’agnello, uova ruspanti e di cioccolato – hanno spiegato il presidente provinciale di Coldiretti Vicenza, Martino Cerantola e il direttore Roberto Palù – I vicentini, ancora una volta, si sono dimostrati fedeli alla tradizione, pur non disdegnando di portare in tavola alcune prelibatezze vicentine, come gli asparagi ed il tartufo dei colli berici”.

Se due vicentini su tre sono rimasti a casa a festeggiare la Pasqua, la parte restante ha per lo più preferito gli agriturismi, letteralmente

 

presi d’assalto a Pasquetta, per la loro capacità di mantenere inalterate le tradizioni alimentari nel tempo, con menù locali a base di prodotti di stagione a km0. “Sul territorio c’è stata una riscoperta dei piatti tipici vicentini – hanno sottolineato Cerantola e Palù – Non sono mancati la minestra di brodo di gallina, le uova sode, l’agnello, il capretto, gli asparagi nelle diverse declinazioni ed il più raffinato risotto al tartufo dei Colli Berici”. Nonostante tutte le anticipazioni mediatiche circa un calo drastico dei consumi di agnello e capretto, i vicentini hanno tenuto forte la tradizione e su almeno il 50 per cento delle tavole, tra le diverse portate, non è mancata questa particolare tipologia di carne, che richiama la Pasqua. “Negli ultimi anni siamo stati colpiti da tanta disinformazione mediatica – hanno commentato Cerantola e Palù – mentre nessun giornale ha speso parole per spiegare quanto sia aumentata l’attenzione per il benessere animale e sul versante della ricerca, anche genetica, per ridurre le malattie e creare negli allevamenti condizioni più in linea con un’etica che appartiene al mondo allevatoriale di Coldiretti. Certo, non sempre questi standard si ritrovano nell’industria, che mira alla quantità e raramente alla qualità del prodotto offerto al consumatore”. Un concetto che emerge anche dalla recente analisi Coldiretti-Ixè, dalla quale risulta che un terzo degli italiani (34%) ha scelto carne d’agnello italiana ed il 12% addirittura comperata direttamente dal produttore, mentre solo il 6% non è interessato alla provenienza. “Una scelta importante, per consentire la sopravvivenza di un mestiere antico ricco di tradizione, che consente la salvaguardia di razze in via di estinzione a vantaggio della biodiversità del territorio. Portare la carne di agnello a tavola significa anche – hanno concluso i vertici locali di  Coldiretti – salvare il lavoro di circa quattromila pastori terremotati, che non hanno ancora abbandonato le aree colpite dal sisma di Lazio, Marche, Abruzzo ed Umbria, dove nei 131 Comuni del cratere sono allevate 213mila pecore e capre”.

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