Il reparto di Pediatria e il punto nascite dell’ospedale di Asiago sono ancora in pericolo.
Lo confermano con un velo di stanchezza i genitori del Comitato Sette Comuni Uniti per Pediatria. Un gruppo di mamme e papà, costituito nel maggio 2014 per tutelare il reparto e per cercare di fermare il ridimensionamento dello stesso previsto per il 30 settembre di quell’anno. Sono state molte le occasioni in cui questo gruppo apolitico e apartitico ha fatto parlare di se e della sua costante battaglia per evitare che alla progressiva riduzione dei servizi seguisse la chiusura totale del reparto. Anche il governatore Luca Zaia aveva promesso che questo non sarebbe accaduto dopo che il Comitato gli aveva consegnato 17.500 firme a settembre del 2014.
Ma alle promesse e alle parole i fatti non son seguiti perché negli anni nessuna garanzia è stata data ai genitori di Sette Comuni Uniti per Pediatria e ai cittadini sulla sopravvivenza del punto nascite, minacciato dall’esiguo numero di parti rispetto ad altre strutture e dalla mancanza di una sala operatoria h24 e dell’anestesista. Che per Asiago ci fossero dei timori è noto da tempo. E recentemente la preoccupazione che, con la riforma sanitaria e i tagli delle Ulss siano gli ospedali più piccoli a poterci rimettere, era stata espressa anche da Luigi Dal Sasso, presidente regionale della Confederazione Nazionale Medici Ospedalieri, che durante un incontro promosso a Schio dal Pd locale aveva confermato che se non ci sono pericoli per la chiusura dell’ospedale di Santorso a favore di quello di Bassano, lo stesso non si può dire per gli ospedali più piccoli, che non riescono a raggiungere gli interventi minimi standard per il mantenimento di alcuni reparti.
I genitori del comitato spiegano: “Premesso che per giungere a Bassano o a Santorso ci vogliono più di mezz’ora e parecchi tornanti, sembra che si stia cercando come un paio di anni fa di depauperare il reparto piano piano, in modo da ridurre progressivamente i numeri per arrivare poi alla chiusura. Siamo stanchi di dover ricevere sempre notizie sconfortanti e di dovervele costantemente comunicare. Con riferimento al reparto materno-infantile, partiamo dal presupposto che ad Asiago non si opera più. Ci chiediamo quale sia il senso di dover trasferire a Bassano la paziente, e tutta l’equipe di Asiago (anestesista, ginecologi, strumentisti, eccetera) per effettuare operazioni di routine da sempre effettuate ad Asiago. Oltre al disagio per la paziente ed i familiari che si trovano costretti ad affrontare un lungo viaggio viene anche da chiedersi se ciò valga un qualche risparmio economico. A quale pro? Vien da pensare, con un pizzico di lungimiranza, che tra qualche anno ci sentiremo dire che ad Asiago non ci sono i numeri. A pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca. Da alcuni mesi si fa di tutto per demotivare e scoraggiare il personale – continuano i portavoce – e noi riteniamo che ci sia un progetto volto a fare in modo che il personale lasci il nostro ospedale e, temiamo, che tra qualche anno ci sentiremo dire ad Asiago non c’è personale, non ci sono i numeri. Siamo consapevoli che i numeri delle nascite non sono dalla nostra parte ma un depauperamento o, peggio ancora, una chiusura del reparto potrebbero inevitabilmente mettere a rischio la vita anche di una sola mamma o del nascituro. La chiusura di un reparto vale la vita di una persona? Lo chiediamo ai vertici aziendali, nella speranza che ci rispondano”.
Una delle risposte che si sentono più spesso dare dai vertici aziendali della Ulss, è che piuttosto che avere reparti poco utilizzati, con conseguente diminuzione di dimestichezza da parte del personale nell’utilizzo dei macchinari, è quasi meglio trovarsi difronte allo spostamento o alla chiusura di un reparto.
In un incontro sulla sanità della provincia tenutosi ad Asiago lo scorso dicembre, la mancanza di risposte e l’insicurezza riguardo punto nascita erano state lamentate dai presenti, scontenti di sentirsi dire che il servizio sarebbe stato garantito dai tre nosocomi nell’insieme, Asiago Bassano e Santorso, ma senza spiegare la gestione della distanza geografica delle strutture ne della specificità del territorio altopianese, che accoglie moltissimi ospiti nei periodi di alta stagione. “Se un reparto non è sicuro le strade sono solamente due: o lo si chiude (assumendosene ogni ed inevitabile conseguenza) o si forniscono tutte le risorse professionali e gli elementi necessari affinché quel reparto possa operare in completa sicurezza – spiega il Comitato – Pare sia stato stabilito il trasferimento ad altri ospedali delle partorienti ‘a rischio’. Da genitori ci chiediamo quali parti non sono a rischio? Chi si assume la responsabilità di definire un parto non a rischio? Il rischio purtroppo c’è sempre. E il tempo per arrivare a Bassano o a Santorso, potrebbe non esserci. In compenso potremmo disperdere il patrimonio di competenze e di professionalità accumulato in questi anni dagli operatori”.
Giulia Rigoni