Ho voluto vedere il film “Io prima di te”, come sempre mi interessa conoscere i punti di vista, artistici e non, sulla disabilità motoria.
Il film é la storia d’amore tra Louisa, badante semplice ma simpaticissima e profondamente umana, ed il suo paziente, il giovane ricco e rampante Will , ridotto alla quadriplegia da un incidente.
La situazione, di per sé un po’ trita, è resa più interessante dalla tematica dell’eutanasia, poiché i due protagonisti trascorrono insieme gli ultimi sei mesi di vita che Will “si è dato”, prima di chiedere la morte assistita ad una clinica svizzera.
Ho apprezzato la stupenda recitazione di Sam Claflin , capace di assumere una postura del tutto naturale e conforme allo stato fisico del protagonista e soprattutto di esprimere con i soli sguardi ed i sorrisi il sentimento che nasce nel personaggio in ogni sua sfumatura e gradazione
Ottima anche l’espressività di Emilia Clarke .nel ruolo femminile di Lou, e particolarmente efficace la voce della doppiatrice Erica Necci, che riesce a scaldarsi in modo naturale e sensuale nei momenti di maggiore coinvolgimento.
Forse sarà proprio la maestria nel tratteggiare la seduzione, da far impallidire le scene hard cui siamo abituati, che illude lo spettatore di trovare poi altrettanta profondità di pensiero.
Invece, con tutto il rispetto per la tematica che affronta, il film mi lascia sinceramente con l’amaro di un teorema errato.
Non sono incoerenti le posizioni dei personaggi collaterali, i genitori di lei, divisi tra convinzione religiosa e affetto, quelli di lui, fra attaccamento al figlio e rispetto, l’ex fidanzato di Louisa, cosciente della pochezza della propria relazione al confronto del vero amore, l’ex fidanzata di Will ,superficiale dall’inizio all’ultima battuta.
Non è incoerente neppure la scelta di Lou, contraria all’eutanasia per Will, ma incapace di stargli lontano negli ultimi momenti e pronta a bere al calice del suo sentimento fino ed oltre la morte.
Ma, secondo me, manca invece assolutamente di coerenza il divenire del personaggio di Will Traynor, il giovane disabile che sceglie l’eutanasia.. .
Anche lasciando da parte ogni considerazione sull’eternità della vita o dell’amore, magari non più condivisibile nella nostra mentalità dell'”hic et nunc”, non vedo come si possano porre così fondatamente le premesse alla superiorità del Sentimento e poi tradire nella conclusione (inavvertitamente?) il Sentimento stesso e chi ne è depositario.
La povera Louisa, tratta senza scrupoli dalla propria innocenza e portata a “diventare tutta un’altra persona “, viene dal sedicente innamorato altrettanto spudoratamente sottoposta alla tortura della fine programmata e trastullata oltre la morte con i buoni consigli e l’augurio di una vita “spensierata” e libera….
Un anti – “Giulietta e Romeo”, insomma, in cui l’amore, da impulso alla vita qual è , viene strattonato fino a farne la “goccia che fa traboccare il vaso”, la scusa di un atto estremo, in realtà premeditato da tempo, che ora si giustifica facendosi passare per un gesto di generosità nel “liberare” il partner dal problema.
Se non ci fosse di mezzo l’amore, verrebbe spontaneo parlare di una vittima del famigerato “burn out”, la devastazione spirituale che attende chi si sporge oltre ai limiti sull’abisso affettivo dell’handicap!
Cosi, non resta che pensare che la “stupidità” di Lou le impedisca di recepire l’egoismo con cui e stata dal partner strumentalizzata e resa partecipe di ” un omicidio vero e proprio “, quello del suo mondo interiore.
Non sto discutendo della voglia di farla finita, di cui avrei rispetto: conosco bene l’odio di dover chiedere ad altri ciò che ci sembra faremmo molto meglio di loro: rabbia verso se stessi e la propria condizione e verso chi ci sostituisce .
Capisco che in momenti di disperazione questi sentimenti possano far impallidire il piacere della vita.
Ciò che qui critico è l’abbinamento improponibile dell’eutanasia con l’amore.
A meno che il messaggio nascosto – ma improbabile – del film non stia nella giovane età di Will , 31 anni per poter decidere della propria vita e della propria morte!
Non allora immaturità del sentimento del protagonista , ma immaturità di una società che non riesce a proteggere i propri membri dalle decisioni affrettate, e a conservare loro la possibilità di maturare, se non l’intuizione del proprio mondo spirituale, almeno la percezione della ricchezza della loro vita interiore ancora aperta, anzi più viva , per chi è limitato in quella fisica. “Come prigionieri, guardando il mondo da dietro le sbarre, ci si accorge di quanto sia ricco e variopinto molto meglio di coloro che lo vivono” (“In un cerchio di vita”)
Oppure la vita è fatta di soldi, di vacanze, di sfide estreme e di protagonismo…
A compensazione di tutto l’errore, la frase stupenda del padre di Louisa: “Noi non possiamo cambiare gli altri, possiamo solo amarli”.
Umberto D’Anna