Il 22 marzo alle 10.30 avrà luogo il consiglio regionale straordinario sulla presunta emergenza da contaminazione da Pfas che ha colpito 79 comuni in Veneto, tra le province di Padova, Vicenza e Verona. Il consiglio è stato chiesto dai consiglieri di minoranza, prima firmataria Cristina Guarda della lista Moretti, ma già da mesi era nell’aria dopo che alcuni consiglieri regionali, tra i quali Berti del M5S e Zanoni del Pd sollecitavano in Regione l’accesso ai documenti senza ottenere alcun risultato.

“I cittadini meritano un confronto trasparente, la giunta non può continuare ad agire da sola sul tema Pfas, tenendo all’oscuro delle azioni intraprese e delle pianificazioni future” dichiara Cristina Guarda “Vogliamo dire alla giunta di Zaia che i i consiglieri ci sono e sono disposti in modo propositivo a collaborare, ma dandoci informazioni dettagliate e la possibilità di soluzioni condivise”.

Quanto uscito dalla giunta regionale lo scorso 8 marzo non ha portato certezza della materia ai cittadini, generando ancora più confusione  e di fatto tagliando fuori  dalla task force  le associazioni competenti che sul territorio lavorano per la tutela dell’ambiente.
Timori non propriamente infondati, stando al parere del 19 febbraio dell’istituto superiore di sanità, chiamato nell’ottobre dello scorso anno ad analizzare campioni di matrice alimentare (uova, pesce, mangimi, carne, ortaggi). Dal rapporto emerge che “ i risultati delle analisi indicano situazioni di potenziale criticità, considerando i livelli di consumo alimentari regionali. In particolare, emergono nella risorsa ittica e nelle uova di allevamenti familiari concentrazioni di PFOS che, in condizioni di consumi prolungati nel tempo, potrebbero determinare il superamento del TDI in specifici gruppi di popolazione”.

L’Iss fa inoltre un chiaro riferimento ai fanghi di depurazione, provenienti dagli impianti veneti, rilevando che, dal 2001 nelle province di Padova, Verona e Vicenza, lo smaltimento diretto dei fanghi da impianti di depurazione ha interessato vaste superficie agricole col progressivo dilavamento dei pfas nei terreni, contaminando corpi idrici anche in zone lontane dalla sorgente principale.

Medici per l’Ambiente in prima linea

1914898_458853050974390_4493867552296003784_n“Sappiamo che l’acqua potabile e gli alimenti prodotti con acqua contaminata rappresentano le principali vie di introduzione dei PFAS nell’organismo.” dichiara  Vincenzo Cordiano – referente regionale per il Veneto e presidente della sezione di Vicenza di Isde, associazione italiana medici per l’ambiente “È molto difficile stabilire quale sia il contributo relativo, soprattutto nel singolo individuo, delle diverse vie di esposizione alla quantità totale di composti perfluoroalchilici che entrano nell’organismo, anche perché ancora oggi, non si conosce con precisione l’estensione del territorio inquinato, né tutti i comuni del Veneto nella cui acqua potabile questi composti sono stati riscontrati nelle falde acquifere o nella catena alimentare”.
A distanza di quasi tre anni, era il maggio 2013 quando l’Iss informò la regione Veneto della presenza di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) nelle acque potabili, si ha come certezza i costi sostenuti per adottare adeguate misure per ridurre i rischi e controllare la contaminazione delle acque. Ovvero sia i sindaci  i gestori del servizio idrico dei comuni maggiormente colpiti, hanno fattivamente messo in campo azioni per contrastare l’immissione di pfas nelle acque e nella depurazione, ma con costi elevati.  Basti pensare che sono stati spesi 2 milioni di euro, solo per dei comuni in cui i pozzi privati risultavano contaminati, per interventi di espansione della rete idrica, nonché l’adozione di filtri a carboni attivi, che pesano nei bilanci annuali per 60 mila euro.

Ma chi paga?

In sede di consiglio regionale sarà affrontata anche questa questione,  affinché la regione stessa promuova una causa civile che individui la responsabilità  dell’inquinamento con richiesta di risarcimento dei danni.
Ci si ammala da pfas?  A tutt’oggi non c’è uno studio scientifico che individui sintomi e malattie specifiche causate da Pfas e il ritardo dei risultati dei biomonitoraggi condotti dalla regione su più di 600 veneti, ancora non resi noti, non ha aiutato in tal senso.“Queste sostanze provocano, o meglio concorrono a provocare, malattie causate anche da numerosi altri fattori di vario tipo: ereditari, occupazionali e ambientali” continua il dott Cordiano  “Per esempio, le malattie della tiroide e l’aumento del colesterolo sono le due condizioni che con ragionevole certezza sono state dimostrate essere più frequenti  nelle popolazioni esposte involontariamente alla contaminazione accidentale dell’ambiente. Queste sostanze hanno la capacità di agire come ‘distruttori endocrini’ che interferiscono con il normale sviluppo fetale, soprattutto degli organi endocrini”.

C’è da sperare che il 22 marzo vengano smessi i colori politici, per fare emergere una verità limpida come dovrebbe essere l’acqua che esce dai rubinetti. E si mettano in atto le misure necessarie per prevenire la diffusione della contaminazione dell’acqua e della catena alimentare.

Paola Viero

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