A volte si ricordano nel dettaglio, altre svaniscono senza lasciare traccia, a volte ripercorrono fedelmente situazioni vissute, desiderate o temute, altre invece sono incongruenti ed enigmatici. Sin dalle origini l’uomo si è interrogato sulla propria vita onirica, attribuendogli, di volta in volta, funzioni predittive del futuro, disvelatrici di numeri magici o, dal Novecento, rivelatrici dell’inconscio.
Ora, invece, uno studio italiano ha individuato un meccanismo neurochimico che determina la qualità dei sogni.
Un gruppo di ricercatori dell’Università di Roma La Sapienza, dell’IRCCS Santa Lucia e dell’Università dell’Aquila, ha misurato il comportamento di alcune aree del cervello, dimostrando che esiste una diretta implicazione del neurotrasmettitore dopamina nell’esperienza onirica. Questo
spiega la ragione per cui gli uomini sognano in maniera diversa.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Human Brain Mapping, ha scelto come modello la malattia di Parkinson, caratterizzata da un’elevata carenza di dopamina curata con farmaci. I ricercatori hanno così scoperto che, nei 27 pazienti parkinsoniani presi in esame, il diverso dosaggio dei farmaci dopaminergici era collegato alla vividezza dei loro sogni, ovvero il dettaglio visivo era proporzionale alla quantità di dopamina assunta.
Inoltre tecniche di neuroimmagine hanno permesso di ottenere informazioni su due strutture cerebrali dopaminergiche collegate all’attività onirica: la corteccia prefrontale mediale e l’amigdala.
La ricerca apre a molte prospettive di studio innovative. «Tra i prossimi passi – dichiara all’Ansa Luigi De Gennaro, professore di Psicobiologia de La Sapienza – capire quali sono le aree del cervello che generano i sogni e da che dipende la loro presenza o assenza e numerosità».