E’ stata definita negli ambienti politici la “campana a morto” della Banca Polare di Vicenza, una scelta che mette con le spalle al muro gli azionisti e che, al momento solo sulla carta, brucia 4 miliardi di euro in una sola giornata. Il Cda dell’istituto, infatti, ha deciso di fissare il diritto di recesso per gli azionisti a 6,3 euro ad azione che, facendo un rapido calcolo, abbassa il valore dell’istituto di credito a 592 milioni di euro contro i 4,51 miliardi che capitalizzava a fronte della valore di 48 euro ad azione. Per gli azionisti che negli anni scorsi hanno pagato ogni azione anche 62 euro è una perdita, al momento solo ipotetica, di quasi il 90 per cento. La decisione del Cda arriva poche settimane prima della quotazione in borsa della Bpv, fissata per il 5 marzo, e della conseguente trasformazione in Spa. Ma chi volesse sfilarsi dalla banca vendendo le azioni a 6,3 euro, avrà comunque le mani legate. L’istituto di credito ha comunicato infatti di aver limitato “in tutto e senza limiti di tempo il rimborso”, facendo uso del decreto Renzi e delle stessi disposizioni della Banca d’Italia. La decisione di abbassare il valore delle azioni ha sollevato un polverone di polemiche. Parla apertamente di “campana a morte” della Bpv il Movimento 5 Stelle.

“Il valore di 6,3 euro ad azione della Banca Popolare di Vicenza sono la campana a morto per l’istituto – afferma il capogruppo Jacopo Berti capogruppo in Consiglio regionale – . La gente deve rendersi conto di quello che sta accadendo. Se banche solidissime e controllate, con requisiti di capitale perfettamente in ordine, hanno perso dal 30 al 50% in pochi giorni solo per l’interessamento della Bce, figuriamoci cosa può accadere alle banche locali”. E Berti promette battaglia: “Chi ha sbagliato pagherà – sottolinea – e sto parlando di persone con stipendi milionari, che hanno fatto il bello e il cattivo tempo sulla pelle dei piccoli risparmiatori. Hanno preso la locomotiva d’Italia e l’hanno spremuta senza alcuno scrupolo, mettendo sul lastrico centinaia di migliaia di onesti lavoratori e stuprando i milioni risparmiati da queste persone nel corso di una vita di lavoro”. Immediata la presa di posizione anche dei soci più piccoli. ‘Noi che credevamo nella Bpvi’, associazione di cui fanno parte almeno 500 piccoli soci chiede a tutti di “votare no alla trasformazione dio Spa”.

di redazione Altovicentinonline

 

BusinFilippo Busin, parlamentare leghista

Dire che Zonin e Consoli si siano limitati a rinviare l’amaro calice mi sembra come minimo fuorviante. Dal 2008 il prezzo delle azioni della Popolare di Vicenza, stabilito dal CdA della Banca, non solo non è stato svalutato, ma è cresciuto di un altro 4%.
Ma cosa assai più grave, nonostante la crisi del 2008, nonostante l’esposto di Lannutti in procura sul prezzo eccessivo delle azioni, nonostante i rilievi di Banca d’Italia sul criterio usato per la determinazione del prezzo, Zonin e tutto il CdA hanno avuto il coraggio nel 2013 e 2014 di raccogliere un miliardo di capitale sociale vendendo, a soggetti non professionali, cioè l’ignaro risparmiatore, azioni a 62,5 € cadauna, questo fino alla vigilia della svalutazione del 23% della primavera scorsa.
Non solo, hanno effettuato aumenti di capitale a debito facendo acquistare, a quel prezzo stratosferico, azioni in cambio di prestiti e affidamenti.
Ora a quei soggetti, piccoli imprenditori e artigiani in gran parte, rimangono i debiti da pagare e un valore delle azioni quasi azzerato.
Per tacere dei rimborsi privilegiati fatti a grandi investitori con i piccoli risparmiatori lasciati in attesa e le scelte manageriali a dir poco discutibili (acquisto di sportelli da altre banche a prezzi esagerati quando il sistema bancario voleva disfarsene, tanto per citarne una).
Colpa solo del mercato?
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