La storia di Antonio Silvio Calò, professore di Treviso, ce la racconta Laura Eduati. Sull’Huffington Post, la giornalista ha riportato uno spaccato di vita dell’insegnante di storia e filosofia e della moglie. Una storia che si svolge in Veneto, in un paese (Camalò di Povegliano), dove la coppia ha aperto le porte della loro villetta per ospitare sei profughi.
“Da quattro giorni viviamo con sei giovani africani accampati in taverna e siamo felici, persino i nostri vicini leghisti vengono a portare cibo e vestiti per loro”. Quando Calò e la moglie si sono rivolti alla Prefettura di Treviso per comunicare la decisione di ospitare dei profughi, gli impiegati hanno spalancato gli occhi esterrefatti.
Antonio Silvio Calò, cinquantaquattrenne professore di storia e filosofia al Liceo Classico Canova di Treviso, è un caso unico. Mentre in tutta Italia politici, sindaci e prefetti si accapigliano sulla difficile gestione dei richiedenti asilo, Calò e la sua famiglia hanno deciso di passare al concreto. E così hanno aperto la porta della loro casa vicino a Treviso a sei ragazzi sbarcati nelle scorse settimane in Sicilia: due nigeriani, due ghanesi e due gambiani. Tutti dai 19 ai 30 anni.
Una generosità che è costata all’insegnante insulti su Facebook, ma che allo stesso tempo ha fatto emergere una solidarietà inaspettata: in una terra ad alto tasso leghista, nessuno dei concittadini ha osato alzare la voce contro la famiglia Calò. Che ora si trova a gestire una convivenza fuori dall’ordinario, giornate colme di appuntamenti con il medico, spese gigantesche al supermercato e una riunione serale che è diventato il momento nel quale la nuova famiglia allargata si scambia parole di vita: “Sono ragazzi giovani, sofferenti. Uno di loro ci ha raccontato di non avere nessuno al mondo, mi ha guardato e mi ha detto: ‘Tu adesso sei mio padre’. Un altro ha cominciato il Ramadan con dieci giorni di anticipo per ringraziare”.
L’arrivo dei sei profughi è stato annunciato nei giorni scorsi con una telefonata dal capo di gabinetto della prefettura: “Senta, signor Calò, qui arrivano decine di richiedenti asilo. Non potrebbe prendersene un po’?”. A Treviso, come in molte altre città, è difficile trovare strutture in grado di dare riparo a persone che non hanno nemmeno una valigia. Il Sindaco Giovanni Manildo (Pd), insieme con altri sindaci veneti, ha chiesto un incontro urgente con Luca Zaia: in zona giornalmente si palesano decine di profughi senza un posto dove andare.
“A dire il vero avevamo chiesto donne e bambini perché sappiamo che sono le persone più vulnerabili, ma abbiamo capito che la necessità era forte: ultimamente ne sono arrivati tanti in zona”, racconta l’insegnante, che per il momento rimane l’unico cittadino ad avere fatto una richiesta di questo tipo.
“L’idea è venuta dopo aver visto il naufragio degli 800 in televisione. Sono tornato a casa e ho parlato con mia moglie, immediatamente abbiamo coinvolto i nostri quattro figli e insieme abbiamo deciso che dovevamo dare una testimonianza civile come cittadini di uno Stato e come credenti”. I sei profughi per il momento occupano la taverna: “È molto grande e molto fresca”, assicura Antonio.
Mentre i due figli più grandi, Elena e Francesco, vivono ormai fuori casa e hanno una vita indipendente, i due più piccoli Andrea e Francesco si sono trovati a condividere i due bagni e la cucina con ragazzi che non avevano mai visto prima. “Andrea mi ha già ringraziato per l’esperienza che sta vivendo”, dice il padre. Che ha già fatto un discorso chiaro agli ospiti: entro una o due settimane dovranno decidere se rimanere a Povegliano oppure dirigersi verso altri luoghi. “Non è un ultimatum, ma se il desiderio è quello di raggiungere parenti e amici in Europa allora è giusto che lo facciano presto, per lasciare spazio ad altri profughi. Noi vogliamo continuare a ospitare persone che sbarcano”.
Calò è preoccupato non soltanto dei commenti razzisti, ma anche delle polemiche sul denaro che riceve per ospitare i ragazzi africani: 30 euro al giorno ciascuno. “Voglio subito mostrare il conto della spesa: 800 euro serviranno per il cibo, perché avranno bisogno di mangiare molto e recuperare le forze. 600 euro andranno in bollette. Poi ci sono tutte le visite mediche, i vestiti da acquistare, schede prepagate per il cellulare e una paghetta giornaliera di due euro e mezzo. Infine, per tacitare chi pensa che questi soldi vadano soltanto agli stranieri, abbiamo assunto una donna trevigiana disoccupata per le faccende domestiche e la preparazione dei pasti: prenderà uno stipendio di 1300-1400 euro. Come vede, queste situazioni possono anche creare lavoro”.
Quattro giorni sono pochi per un bilancio. La sistemazione dei sei ragazzi è ancora provvisoria (“stiamo preparando una camera aggiuntiva”) e per sbrigare le faccende burocratiche come la richiesta di asilo è intervenuta l’associazione marocchino-trevigiana “Hilal”. Tuttavia le idee di Calò sono cristalline: “Dovranno integrarsi e rispettare le leggi italiane. Poco a poco inseriremo questi ragazzi nel mondo del lavoro attraverso corsi e stage, in Africa lavoravano e dunque non partono da zero. Due di loro faranno il ricongiungimento della moglie e della figlia, uno continuerà ad allenarsi come calciatore. Ci vuole poco a capire che se ogni Comune prende cinque o sei profughi, il problema sarà risolto senza isterismi. Questa non è una emergenza, l’arrivo di persone dall’Africa continuerà per trenta o quarant’anni”.
Ecco perché, al termine della telefonata, Calò dice che vorrebbe lanciare gli Stati Generali dell’Immigrazione, un tavolo tecnico e politico per gestire gli sbarchi “con buon senso”. “Qualcuno mi chiede: e se la notte uno degli africani si sveglia e ti ammazza? Io rispondo: se pensassi in questo modo, non avrei fatto nulla. Non la pensano così nemmeno i miei vicini di casa e gli abitanti di Povegliano: anche quelli che mettono le bandiere della Lega alle finestre sono venuti a chiedermi se quei ragazzi hanno bisogno di vestiti e cose da mangiare. Per questo ho già mandato un invito a Matteo Salvini e a Luca Zaia: venite a farmi visita”.