Un partner che strepita? Un capo sempre arrabbiato? Un figlio irrazionale? Da oggi la scienza è in grado di fornire una soluzione per dialogare e intrattenere una conversazione civile con chiunque urli e strepiti per partito preso.
Lo psicologo Eric Barker, ha pensato a chi condivide la giornata con soggetti costantemente irascibili e ha pubblicato i risultati di diverse ricerche scientifiche che rispondono alla domanda: ‘Come posso comunicare con persone arrabbiate, pazze o irrazionali?’
Secondo Eric Barker, il primo passo è mantenere la calma.
Non si può avere a che fare con una persona arrabbiata se si è arrabbiati, in quanto il tutto si risolverebbe in un rumoroso litigio. Che non è l’obiettivo che stiamo perseguendo.
“La soluzione è dire a noi stessi che il nostro interlocutore sta passando un brutto momento, e che la cosa non ha affatto a che vedere con noi. Studi recenti hanno dimostrato che ridimensionare la rabbia di un altra persona elimina i segnali elettrici all’interno del nostro cervello che sono solitamente associati alle emozioni negative che proviamo quando ci troviamo di fronte a dei volti infuriati”. Magari la persona con cui stiamo cercando di avere una discussione fruttuosa si sta comportando da pazza. In quel caso la reazione di molte persone è quella di zittire l’interlocutore o di alzare la voce per coprire la sua. È una reazione naturale, ma non funziona. Non penserà di avere torto, ma al contrario il vostro comportamento sembrerà una sfida aperta. Dovete iniziare ad ascoltare. Ma c’è un dettaglio da prendere in considerazione, probabilmente il più importante: “Stare in silenzio non basta. Il vostro deve essere un ascolto attivo. Perché l’ascoltare non si riduce al semplice ascolto, ma si estende fino a comprendere il fare in modo che l’altro sia consapevole del fatto che gli state prestando orecchio. Un buon ascoltatore è una persona che non giudica”.
Il buon ascolto è composto da tre fasi: parafrasare, informarsi e comprendere. Bisogna quindi assolvere tre funzioni: capire i punti del discorso, informarsi sul contenuto e capirlo.
Il segreto però risiede anche nel linguaggio del corpo, non solo nelle parole. Albert Mehrabian, docente alla Ucla californiana, spiega: “Il linguaggio è una cosa strana. Il 55% di ciò che diciamo arriva dai segnali del corpo, il 38% dal tono di voce e solo il 7% dalle parole”.
E’ inoltre preferibile evitare di avere discussioni importanti tramite e-mail o telefono. Comunicare tramite posta elettronica rende inclini ad essere più scortesi, mentre comunicare tramite sms ci fa mentire di più.
Secondo Steven Johnson, eliminare le informazioni derivanti dal viso e dall’intonazione della voce potrebbe simulare gli effetti dell’autismo. Dice: Guardando la comunicazione telematica attraverso le lenti della neuroscienza, è difficile non individuare delle grosse similitudini con l’autismo. Interagendo con altri esseri umani tramite canali che ci impediscono di trasmettere le espressioni del viso, la gestualità e le risate, inconsciamente riproduciamo il radar emotivo quasi piatto proprio di chi soffre di questa patologia”.
Ma se non potessimo ascoltare e fossimo costretti soltanto a rispondere a una domanda diretta, come dovremmo comportarci?
Quello che bisogna fare è uscire dai nostri panni e cercare di capire dove voglia andare a parare il nostro interlocutore. Come era solito ripetere l’esperto di politica Frank Luntz: “Non è importante quello che dici, ma quello che sentono gli altri”.
Un’altra cosa importante da ricordare è che bisogna ignorare chi ha comportamenti aggressivi e isterici abitualmente. In questo caso non ricompensateli con la vostra attenzione ma aspettate che si calmino per avvalorare positivamente i concetti che considerate più importanti.
Questo metodo è valido ed efficace sia che il nostro interlocutore sia un cane o un delfino sia che si tratti del nostro vicino di casa.
Un ultimo metodo che può migliorare notevolmente la comunicazione è quello delineato da Karen Pryor: “Sottolineate ed elogiate qualsiasi comportamento che non faccia parte delle abitudini che volete l’altro perda. Ho usato questa tecnica con mia madre, con cui le conversazioni vertevano quasi esclusivamente sui suoi problemi finendo tra le lacrime. L’ho lasciata sfogarsi e lamentarsi e, quando aveva finito, le ho fatto notare tutti i suoi aspetti positivi e tutto ciò che non era incluso nelle sue lamentele. Dopo qualche tempo il rapporto tra le lacrime e le risate durante le nostre conversazioni si era completamente invertito”.