Due bambini, di 4 e 7 anni, sono stati deportati la scorsa settimana in Honduras insieme alla madre. Sono cittadini americani. Lo denunciano i legali della famiglia, alimentando il fuoco delle polemiche sulla repressione migratoria dell’amministrazione Trump.
Il caso si aggiunge a quello, analogo e ugualmente inquietante, di una bambina di 2 anni – anche lei statunitense – mandata nello stesso Paese con la madre senza documenti. In entrambi gli episodi, denunciano gli avvocati, le autorità federali non hanno offerto alle madri la possibilità di lasciare i figli negli Stati Uniti.
Tom Homan, lo”zar della frontiera” scelto da Trump, ha minimizzato: nessun bambino americano sarebbe stato deportato contro la volontà dei genitori. Versione che stride con quanto emerso in tribunale, dove un giudice federale, nominato dallo stesso Trump, ha parlato apertamente di “forte sospetto” che un cittadino americano sia stato espulso senza “un processo significativo”. Tra i deportati, un bambino malato di cancro avanzato, strappato ai suoi medici e alle cure necessarie. La madre della bambina di 2 anni, incinta, non ha avuto alcuna possibilità di separarsi dalla figlia, dicono i legali.
Il Dipartimento per la Sicurezza interna si difende: “Proteggiamo i bambini”, dichiara la portavoce Tricia McLaughlin. Ma i fatti raccontano un’altra storia: le famiglie arrestate durante controlli di routine sono state portate a ore di distanza da New Orleans, isolate dagli avvocati e dai familiari, e imbarcate su voli per l’Honduras senza possibilità di intervento legale.
La pressione su Washington cresce. L’ACLU e diversi gruppi per i diritti civili parlano di “pratiche orribili e sconcertanti”. Ma l’amministrazione resta imperturbabile: avere un figlio americano, ribadisce Homan, “non è un lasciapassare per rimanere”.
Agenzia Dire
