a cura di Silvia Mari

Nei prossimi LEA con buona probabilità, stando a diverse voci che si rincorrono ormai da mesi, non ci sarà l’estensione per lo screening mammografico dai 45 ai 74 anni, come richiesto invece dalle linee guida europee. Non è passato neanche l’emendamento per investire 6 milioni di euro extra LEA sulla estensione dello screening mammografico. Il dato più preoccupante è l’esclusione delle donne giovani, visto che, i numeri delle diagnosi in età giovanile sono in aumento. Il Report sui numeri del cancro in Italia (dal ministero della Salute) conferma che il tumore della mammella è la neoplasia più frequente nelle donne. Secondo i dati del report sono 925.000 le donne che vivono in Italia dopo una diagnosi di tumore della mammella. Per l’anno 2024 sono stati diagnosticati 53.686 nuovi casi (uomini=621; donne=53.065). In Italia, l’11% dei nuovi casi di tumore al seno viene appunto diagnosticato in donne sotto i 45 anni, e il trend sarebbe in aumento. L’allarme non è solo per i 6 milioni di euro negati allo screening, ma per un modello di salute pubblica “fermo agli anni ’90, quando è iniziato” che di fatto “non investe in innovazione, non ottimizza” e arriva a negare nei fatti la prevenzione, facendo di una malattia che colpisce le donne lungo tutto l’arco della propria vita anche una vera epidemia sociale. A commentare con preoccupazione questa promessa mancata dei LEA è la professoressa Adriana Bonifacino, medica oncologa, senologa e presidente della Fondazione IncontraDonna.

“Non abbiamo nei LEA la fascia 45-74, e abbiamo solo la 50-69 e regioni che ciascuna diversamente investono sulla fascia più giovane o più anziana, secondo risorse; ma soprattutto abbiamo 20 regioni diverse e non un Paese unico e questo alimenta discriminazioni”. Non solo un problema di soldi quindi, ma un modello che non gira. Dalle piccole alle grandi cose. Tanto per cominciare la mancanza di una messa in rete delle cartelle screening di una singola donna. “Se faccio screening in una Asl e cambio quartiere, cambio città o regione di me non c’è nulla riguardo lo storico dello screening mammografico. Ed è la comunità scientifica che ci dice che il confronto delle immagini radiologiche è di fondamentale importanza: può far scoprire un tumore, o risparmiare una biopsia inutile, ovvero rassicurare una donna per quale si aveva un sospetto”, spiega la professoressa. È un po’ come costruire sulla sabbia un percorso che non lascia traccia. Altro tema quello dei mammografi. “Il 60-65%- dice Bonifacino- ha già una predisposizione alla tomosintesi (mammografia tridimensionale che consente di studiare il seno a strati), basta una rimodulazione con un investimento economico di portata sostenibile, soprattutto se vista in una ottica di successivo risparmio. Se la si applica allo screening di primo livello si può risparmiare nei richiami al secondo livello. Un risparmio non solo sanitario ed economico, ma anche sociale (la donna che lavora non deve prendere un altro giorno), ma anche risparmio di ansia e tempo”.

Le donne sono cambiate, commenta la specialista, e il sistema sanitario non se ne è accorto. Dalla diffusione delle protesi additive, al seno denso, alla familiarità ed ereditarietà di mutazioni genetiche. Ma non solo. “Le donne lavorano, sono proiettate nel futuro in modo del tutto diverso negli ultimi 30-40 anni; il tumore nelle giovani (che rimandano la prima gravidanza per ragioni di lavoro o di welfare) è devastante, c’è anche tutta la questione dell’oncofertilità da considerare; e anche il tumore nella donna anziana è difficile da sostenere se avanzato e non precocemente intercettato, per la ricaduta familiare e sociale nella sua gestione. Solo pochi giorni fa- racconta- abbiamo operato una donna di 100 anni; ha voluto essere operata per il piccolo tumore che aveva sentito da sola nel seno perchè non vuole tornare a controlli e vuole vivere il tempo che le è rimasto senza il tumore nella mammella”. Un tempo sarebbe stato impensabile. “Dobbiamo puntare ai LEA 45-74, il Ministro si è sempre detto d’accordo, ma non si riesce. E dobbiamo- rincara Bonifacino- dare comunque indicazioni, raccomandazioni di prevenzione, al di là dello screening finanziato, alle donne prima dei 45 anni e alle anziane”. Al momento non c’è nulla, solo tante e diverse voci. che disorientano le donne nella gesstione dei propri controlli. “Se non investiamo non saremo un Paese unico e si rafforzeranno le discriminazioni”.

Addirittura, sottolinea la presidente della Fondazione IncontraDonna, oggi c’è chi nega il valore dell’autopalpazione come mezzo di conoscenza del proprio corpo: “Solo nell’ultimo mese grazie all’autoosservazione tre donne si sono accorte di un cambiamento e abbiamo riscontrato il morbo di Paget”, continua per dare un esempio, una forma di cancro che si riconosce dall’osservare cambiamenti del capezzolo”. “L’incidenza del tumore seno è la più frequente dai 35 anni fino alla fine della vita per le donne”, ricorda ancora Bonifacino, mentre per gli uomini ci sono tumori diversi in base alle fasce d’età, “questo vorrà dire qualcosa?”, si domanda. Non c’è tempo per rimandare ancora: “il ‘successivamente’ della politica non si può più sentire, dobbiamo dare subito nuove indicazioni alle donne e sostenerle nei loro percorsi”. Le donne sono cambiate e il sistema sanitario pubblico no: raggiungerle, ribadisce Bonifacino, è una priorità di prevenzione, un investimento e non un costo. E’ così che dovrebbe andare.

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