“Avevo circa 15 anni per un paio di settimane non avevo più visto una mia cugina. Un pomeriggio è venuta da me e mi ha detto che aveva subito un ‘taglio’. In un primo momento non ho capito a cosa si riferisse”.

A parlare è Riham Ibrahim, 24enne di origine egiziana, è in Italia da quando aveva un anno, vive a Milano Sud e frequenta l’università, l’ultimo anno di chimica e tecnologie farmaceutiche. E’ una ‘community trainer’, una figura che costruisce un ponte tra istituzioni e realtà locali, e insieme ad ActionAid è impegnata a sensibilizzare le comunità straniere di Milano per prevenire le mutilazioni genitali femminili, una pratica che si tramanda di madre in figlia non per ragioni mediche ma culturali.

   Dal 2012 l’Onu ha proclamato il 6 febbraio la Giornata Internazionale contro le Mutilazioni Genitali Femminili (Mgf) poichè sono numerose le complicazioni, a breve e lungo termine, sulla salute delle donne sottoposte a questa usanza, compresa la morte. Nonostante le Mgf vengano riconosciute a livello internazionale “come una violazione estrema” dei diritti e dell’integrità delle donne e delle ragazze, secondo l’Onu la stima è che circa 68 milioni di ragazze in tutto il mondo rischiano di subire questa pratica entro il 2030.

   “Sono diventata una attivista – spiega Riham Ibrahim – vedendo il dolore delle persone che erano attorno a me. Ho pensato che forse potevo fare qualcosa. Qualcosa nel mio piccolo, per far sentire la loro voce. Noi community trainer andiamo a parlare con le donne, a portare un’altra visione delle cose, ma vogliamo soprattutto ascoltarle. È importante sempre non aver nessun sguardo giudicante”.

Per Riham le donne che portano le loro figlie a subire pratiche come le Mgf o i matrimoni precoci forzati “non sono mamme che odiano le proprie figlie, anzi è il contrario. Lo fanno pensando di far del bene alle proprie figlie, di farle sentire parte di un gruppo, per integrarle e farle essere espressione della propria identità. La pratica si previene nel momento in cui ci mettiamo in ascolto delle donne, vediamo le loro esigenze. Nel dialogo capiamo come possiamo portare loro un’altra visione delle cose, ma senza mai giudicarle”.

Una grande soddisfazione per la community trainer è stato quando “una donna si è aperta e mi ha raccontato di aver subito le mutilazioni. Lei non viveva male la sua condizione, ma ha deciso di non praticare più il taglio alla propria figlia dopo aver avuto un confronto con noi. Questa è una cosa molto potente, perché quando una donna decide di interrompere le mutilazioni, significa che questa pratica viene eradicata completamente per l’intera generazione di donne di quella famiglia. Un cambiamento da cui non si torna indietro”.

“Le mutilazioni genitali – ammette – in alcuni gruppi sono ancora molto radicate, oltre a essere legate al concetto di cultura o di tradizione diventa proprio un fatto di identità. E nel momento in cui le Mgf diventano parte della propria identità è difficile poterle separare dal resto delle usanze. Noi con ActionAid ci proviamo sempre, in punta di piedi, proviamo a confrontarci con loro per far riflettere che l’identità – conclude Riham – può essere anche altro, per fortuna”.

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