La sanità italiana si prepara a una svolta storica: i medici di famiglia potrebbero diventare dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale, abbandonando il modello della libera professione convenzionata in vigore dal 1992. Lo scrive Milena Gabanelli nella sua rubrica di approfondimento sul Corriere della Sera: la giornalista ha letto in anteprima la bozza di riforma sostenuta dal ministro della Salute Orazio Schillaci e dalle Regioni, che mira a garantire un’assistenza più capillare e a far funzionare le 1.350 Case della Comunità finanziate con 2 miliardi di euro dal PNRR.

Oggi i medici di medicina generale sono liberi professionisti convenzionati, con ampia autonomia organizzativa. La riforma, contenuta in un documento di 22 pagine ancora riservato, prevede invece l’introduzione di un rapporto di impiego diretto con il SSN. Le novità principali sono tre:
i nuovi medici di famiglia saranno assunti, mentre quelli in servizio potranno scegliere se rimanere liberi professionisti o passare al nuovo regime; dovranno operare sia nei propri studi che nei nuovi presidi territoriali, garantendo la copertura dalle 8 alle 20 con servizi diagnostici avanzati; si stabilisce un impegno settimanale di 38 ore, suddiviso tra assistenza diretta ai pazienti e programmazione territoriale.

Il nuovo modello prevede che i medici di famiglia alternino l’attività con i propri assistiti e quella a disposizione della comunità locale. La suddivisione delle ore dipenderà dal numero di pazienti seguiti, con un minimo di 6 ore di consultazioni dirette fino a un massimo di 24 ore per chi ha oltre 1.500 assistiti. L’obiettivo è garantire un medico disponibile tutto il giorno, anche nei piccoli comuni, sfruttando le Case della Comunità e gli ambulatori pubblici messi a disposizione dalle Regioni.

CAMBIA ANCHE LA FORMAZIONE

Il percorso formativo per diventare medico di famiglia cambierà radicalmente: si passerà da un corso triennale regionale a una specializzazione universitaria di quattro anni, equiparata a quella degli ospedalieri. Questo comporterà anche un aumento delle borse di studio, attualmente ferme a 11.500 euro l’anno, rispetto ai 26.000 delle specializzazioni tradizionali.

LA SMI: “LA RIFORMA DOVREBBE TUTELARE I MEDICI, NON DANNEGGIARLI”

“In questi giorni stanno circolando, con molti commenti, su varie chat nazionali di medici, siti e mailing list, sia la proposta di Forza Italia sulla riforma dell’assistenza territoriale, sia lo studio commissionato alla Mercer, società di ingegneria gestionale, dalla Fimmg e presentato presso la sede dell’Enpam allo scopo di dimostrare che non serve la dipendenza per far funzionare le Case di Comunità. Perché presso la sede dell’Enpam e non quella della Fimmg? Forse perché si sta tentando di tutelare gli interessi di Enpam che solo in parte coincidono con quelli dei propri iscritti, anche a costo di sacrificare una contrattazione collettiva nazionale degna di tale nome”. Così in un comunicato Pina Onotri, Segretario Generale Sindacato Medici Italiani (SMI).

“Lo studio della Mercer, comunque ha molte analogie con le dichiarazioni fatte dal Presidente della Fnomceo qualche giorno fa – evidentemente l’aveva letto in anteprima- e con la proposta legislativa presentata da F.I., che, a sua volta, riprende i contenuti di quanto dichiarato dall’allora Ministro Speranza il 16 febbraio 2022 su Quotidiano Sanità: ‘Pronto il decreto sulla riforma del territorio. Per i medici di famiglia niente dipendenza. Gli studi restano e saranno gli spoke delle case di continuità hub’. Cambiano i governi, ma non i programmi e le proposte Fimmg. L’articolo 1 della proposta di legge stabilisce che i medici convenzionati col SSN a ruolo unico, in regime di para subordinazione, devono garantire 38 h. settimanali complessive in Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT), di cui 20 h. per i propri assistiti e 18 h. decise dall’azienda sanitaria, dal distretto, dalla Casa di Comunità. Ci stanno chiedendo di contrarre l’attività assistenziale nei confronti dei nostri pazienti? Sul serio si ritiene che il nostro carico assistenziale, soprattutto in era post Covid, possa essere compresso in 20 ore a settimana? O si è in mala fede, oppure la narrazione che viene fatta ai decisori politici di quella che è l’attività lavorativa di un medico di famiglia non corrisponde affatto al vero. Da uno studio fatto dalla Cergas Bocconi, su un gruppo di medici del Nord, Centro e Sud è emerso che giornalmente in media un medico di medicina generale evade circa 75 accessi al giorno che moltiplicati per 40.000 studi di medici di famiglia risultano essere di circa 3 milioni di accessi al giorno, 750 milioni di accessi l’anno. Ma senza scomodare la Cergas Bocconi, basta consultare i nostri gestionali di studio per avere i riepiloghi annuali, mensili, giornalieri degli accessi effettuati. Non credo che resti molto tempo per svolgere attività oraria aggiuntiva. Non ne resta affatto”.

La novità vera, forse, è che nella Proposta di Legge di F.I. per la prima volta si parla di parasubordinazione. Lo status di liberi professionisti che, contrattualmente ci è stato cucito addosso, ci è sembrato sempre una forzatura, in quanto di liberi professionisti abbiamo sempre e solo avuto il rischio d’impresa, mentre ci siamo sempre più sentiti, per tutti gli obblighi che ci sono piovuti addosso senza concertazione alcuna, dipendenti senza tutele. Se si parla di parasubordinazione nell’ambito dell’organizzazione del lavoro, non se ne parla relativamente alle tutele o alle modalità che possono favorire lo svolgimento della professione, soprattutto per le donne che sono la maggioranza, a partire dalla possibilità di part time (autolimitazione scelte/ore), allo smart working, all’esclusione di lavoro notturno per età, patologie, figli minori, al riconoscimento del lavoro usurante se si fanno più di 62 turni notturni all’anno, etc. Per di più con una proposta ad invarianza finanziaria, tutto ciò appare di difficile realizzazione, soprattutto per la possibilità che viene data ai vecchi medici di uscire cinque anni prima dal mondo del lavoro. Chi paga loro lo ‘scivolo pensionistico’ Enpam? Certo le Case di Comunità a prescindere dalla loro reale utilità, finanziate con i soldi del PNRR devono andare a regime, pena la restituzione dei soldi già spesi e dentro ci devono essere medici ed infermieri anche se con funzioni assistenziali ancora incerte e probabilmente di nessuna utilità alla popolazione assistita, soprattutto anziana, abituata alla capillarità del servizio. Peccato che a tutto questo non si è pensato prima, nonostante i vari allarmi lanciati. Ora i nodi vengono al pettine e il fallimento delle vecchie Case della Salute, certificato da Agenas, nel 2012, ed istituite nel 2007 con le stesse finalità delle Case di Comunità, avrebbe dovuto insegnarci qualcosa. Le soluzioni, a questo punto, possono essere diverse”, continua Onotri.

“Applichiamo ai medici di medicina generale un contratto retribuito a quota oraria sul modello del contratto convenzionato della specialistica ambulatoriale (con relative tutele) sia per le ore svolte nel distretto che quelle svolte nei propri studi, riconoscendo loro un bonus per mettere a disposizione del SSN il proprio ambulatorio privato, così finalmente comprimiamo realmente il nostro carico assistenziale alle sole ore previste da contratto e ci riappropriamo della nostra vita. Altra soluzione potrebbe essere quella di rendere complementare, se proprio vogliamo continuare a dare valore alla scelta fiduciaria del cittadino, le ore svolte con il carico assistenziale di ciascun medico creando un principio di equivalenza. Un medico con 650 pazienti è compatibile con 24 h di attività oraria, un medico con mille pazienti con 12 h, un medico con 1200 pazienti con 6 h di attività riconoscendogli un compenso misto quota oraria (con relative tutele) quota capitaria, anche qui applicando il part time di cui sopra. Terza soluzione, che può essere realizzare contestualmente alle altre due è modificare l‘articolo 8 della legge 502/92 per riaprire al convenzionamento l’area della medicina dei servizi. Le aziende sanitarie, in questo modo, avrebbero la possibilità d’incaricare stabilmente a tempo pieno e indeterminato, così come si procede per i bandi del ruolo unico, i medici convenzionati presenti nelle graduatorie di settore che ad oggi si occupano ,a titolo esemplificativo e non esaustivo, di assistenza domiciliare integrata, prevenzione e igiene, vaccinazioni, medicina legale, direzione sanitaria e quant’altro necessita. Questi medici, di fatto, già oggi, potrebbero contribuire al debito orario nelle Case di Comunità. Quarta soluzione, passaggio a dipendenza su base volontaria per il personale già in servizio. La vittoria, in questa possibile riforma, non può essere quella dei generali senza il sostegno delle truppe altrimenti saranno ben più di quattro milioni gli italiani senza medici, come ci dice un sondaggio appena lanciato dal SMI che su 626 medici intervistati vedrebbe il 44% dei medici intervistati pronto alle dimissioni, mentre il 53% sarebbe contrario ma costretto a lavorare, con il solo il 3% favorevole alla proposta di legge. Non è necessario essere cartomanti per capire quale sarà, di questo passo, il futuro della medicina generale. Tocca solo capire se anche stavolta il Capitano responsabile del naufragio della nave salterà subito e per primo sulla scialuppa di salvataggio”.

Ti è piaciuto questo articolo? Condividilo su:
Stampa questa notizia