Il 13 novembre scorso la notizia aveva rattristato l’intera città di Thiene e non solo: don Piergiorgio Sandonà, 78 anni il prossimo 13 marzo, era stato colpito da una doppia emorragia cerebrale nella sua casa canonica di Piazza del Giubileo e la sua vita era appesa a un filo. Ricoverato dapprima a Santorso, operato a Vicenza, e riportato, poi, nuovamente a Santorso sembrava non ce la potesse fare.

 

Mercoledì scorso, invece, la fiammella della speranza (l’ultima a morire) si è riaccesa: don Giorgio, lo storico parroco di San Vincenzo, si è risvegliato dopo due mesi di coma riconoscendo i suoi familiari tra l’incredulità dell’equipe del Reparto di Rianimazione del nosocomio di Santorso dove tuttora è ricoverato.

La nipote Elisa Sandonà, a nome della numerosa famiglia, si racconta e si confida: “Il 15 gennaio è stato il giorno della rinascita. È stato il giorno di chi, costretto in un lettone bianco da troppo tempo e bloccato da mille sondini attaccati in ogni centimetro di quella bella pelle sempre rosea, mercoledì mattina ha dato dimostrazione al mondo intero di cosa significhi amare la vita. È la vittoria di un uomo che, dopo due emorragie cerebrali e ben sessanta lunghi giorni di coma, contro i prognostici di qualsiasi cartella clinica, contro ogni aspettativa e contro i pessimismi di chi della vita vede solo le cose negative, ha aperto gli occhi e ha pronunciato le sue prime parole dopo due mesi di silenzio: “Sono contento”. ‘Zio Giorgio – continua commossa Elisa – non è la prova di quello che tanti chiamano “il caso” e nemmeno la prova di quello che gli atei chiamano “il destino”: è semplicemente la prova di quello che noi, noi che ci crediamo davvero, chiamiamo semplicemente miracolo’.

E Papa Francesco l’ha ribadito proprio pochi giorni fa in una delle sue omelie mattutine a Casa Santa Marta: ‘I miracoli ci sono, ma serve la preghiera, una preghiera coraggiosa, che lotta per arrivare a quel miracolo, non quelle preghiere per cortesia: “Ah, io pregherò per te!” Poi un Pater Noster, un’Ave Maria e mi dimentico. No! Ci vuole una preghiera coraggiosa, come quella di Abramo che lottava con il Signore per salvare la città; come quella di Mosè che pregava con le mani in alto e si stancava pregando il Signore; come quella di tanta gente che ha fede e con la fede prega, prega».

E di Abramo e Mosè in questi due mesi di agonia ce ne sono stati tantissimi: la preghiera è stata davvero unanime dai bambini del suo amato Asilo alle diciassette parrocchie del vicariato thienese, dai parrocchiani di San Vincenzo passando per i detenuti del “Due Palazzi” di Padova e le clarisse aquilane che ogni giorno pregano con le mani alzate per don Giorgio. Pure la dispensa del Corso di Antropologia del venerdì sera della Scuola di Formazione Teologica – di cui don Sandonà è direttore, ndr – porta nella copertina il suo volto e in prima pagina la dedica a “Don Piergiorgio e all’uomo che soffre e spera”.

Felicissima anche la sorella Nicolina che abita a Calvene e che abbiamo raggiunta pochi minuti fa al telefono: ‘Ieri sera mi ha subito riconosciuto come pure mio marito Eligio. La speranza è tornata nella nostra famiglia. Dio ci ha ascoltati e ha raccolto le nostre lacrime’.

di Sandro Pozza

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