Nel cuore di Roma, a pochi passi dalla magnificenza di San Pietro, c’è un luogo che, da cinque anni, rappresenta una speranza tangibile per chi vive nell’ombra della città: l’ex convento delle suore calasanziane, trasformato in un’accoglienza speciale per i senzatetto. Un’iniziativa voluta fortemente da Papa Francesco, che ha deciso di rispondere al bisogno di cibo e rifugio dei più poveri, ma anche al loro diritto a vivere in un ambiente che offra dignità, bellezza e, soprattutto, umanità.

Luciano è uno degli ospiti di questa casa particolare, che sorge in un palazzo del Settecento. La sua storia è stata raccontata dal Corriere della Sera. Ogni giorno, il suo sguardo si apre sulla splendida vista di San Pietro, mentre il suo cuore si nutre non solo di cibo e conforto, ma anche di bellezza. «Ti piace?» gli chiede orgoglioso, mostrandogli il panorama che ha la fortuna di poter ammirare da una stanza che non è solo un rifugio, ma anche un luogo dove la vita sembra riacquistare un senso. La casa, che molti avrebbero voluto trasformare in un hotel di charme, è stata destinata a un uso ben più profondo: accogliere chi vive ai margini, donando loro una nuova possibilità di riscatto.

L’inaugurazione, avvenuta nel novembre 2019, ha visto la partecipazione diretta di Papa Francesco, che ha voluto essere presente per benedire il luogo e i suoi ospiti. Con il suo sorriso e la sua semplicità, ha girato per le stanze, dispensando saluti e benedizioni, come fosse a casa propria. Il momento è rimasto impresso nei cuori di chi era presente, tanto che alla vista di un fotomontaggio che lo ritraeva accanto a Gesù e a San Francesco, Papa Francesco non ha potuto fare a meno di sorridere: «Dove mi avete messo? Mi viene in mente la canzone sugli amici al bar…».

A cinque anni di distanza, più di centocinquanta persone hanno trovato rifugio in questo spazio che unisce spiritualità e solidarietà. Anziani, malati, immigrati, disoccupati: sono tutti benvenuti. La vita qui ha regole semplici ma rigorose: niente liti, niente cose prese nei cassonetti, solo il rispetto per gli altri e per sé stessi. In cambio, gli ospiti ricevono biancheria, sapone, shampoo, e la certezza che, prima di tutto, vengono trattati con dignità. «Qui sono in-cre-dibili», racconta Viola, una delle ospiti, un po’ sdrucita dalla vita ma felice di aver trovato un posto che le permette di respirare un po’ di speranza. Di quest’accoglienza ne ha parlato sul più noto quotidiano d’Italia, che così ha sfatato la credenza che la Chiesa non accolga.

Ogni sera, i volontari si fanno avanti per servire la cena nel refettorio con soffitto a cassettoni e terrazza panoramica. Il menù del 25 dicembre, con minestrone fumante e merluzzo gratinato, è stato un successone, e Francesco, uno dei volontari, ha raccontato con entusiasmo: «Hanno spazzolato anche l’arrosto». Per i senza fissa dimora, la cucina rappresenta un momento di gioia e condivisione, dove il cibo non è solo nutrimento, ma anche un gesto di umanità.

Tra i volontari, ci sono storie di passione e dedizione. Valentina e Francesco, coppia di quarantenni, sono tra i tanti che hanno scelto di dedicare una parte del loro tempo a questa causa. «Era tanto che volevamo fare volontariato, ma non pensavamo fosse così: fai bene agli altri e fai bene a te stessa», racconta  sempre al Corriere Valentina, architetta che ha trovato nella solidarietà un senso di realizzazione che va oltre ogni altra carriera.

Il custode Marco, che lavora qui sin dall’inizio, è un altro punto di riferimento per gli ospiti. Con una memoria che custodisce le storie di chi è passato da queste stanze, racconta delle vite che si sono intrecciate con la casa. Tra i suoi ricordi più cari c’è quello di Emilia, una donna di 83 anni che è riuscita ad adattarsi alla vita della casa, nonostante le difficoltà. «È la nonna di tutti ora», dice Marco con un sorriso, mentre un altro ospite scende per partecipare alla messa.

 

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