“Non si fanno più figli in Italia e nemmeno in Veneto. E la novità è che anche gli stranieri che vivono da noi hanno cominciato a generare meno figli. Dobbiamo fare qualcosa per invertire la rotta”. L’appello è del segretario Roberto Toigo all’assemblea regionale della Uil del Veneto organizzata oggi al Centro Cardinal Urbani di Zelarino (Venezia). Già a partire dagli anni ’70 si è vista una contrazione delle nascite che ha continuato senza fermarsi, diventando impattante negli anni ’90 e arrivando fino a oggi. Il cosiddetto tasso di fecondità, cioè il numero dei figli che serve per garantire il ricambio generazionale, dovrebbe attenersi al 2,1 per donna, ed è oggi all’1,24 e 1,27 in Veneto). Nel 2022 a livello nazionale, evidenzia ancora la Uil del Veneto, si è scesi per la prima volta sotto i 400.000 nati nell’anno e, in regione, sotto i 32.000.

L’Italia rimane così tra i Paesi dell’Ue in cui questo fenomeno è tra i più alti e preoccupanti. Si fanno meno figli e, “la novità eclatante che viene snocciolata sempre dai numeri (Veneto Lavoro), è che a fare meno figli non sono solo gli italiani e i veneti, ma anche gli stranieri”, segnala la Uil. In Veneto, nel 2013, gli stranieri rappresentavano quasi il 22% dei nati totali (circa 42.000) per passare, nel 2023, a circa il 18%. In soli 10 anni (2013-2023) ci sono state 11.500 nascite in meno. Anche se la tendenza al calo della natalità caratterizza quasi tutti i Paesi europei, l’Italia “si distingue per la gravità del fenomeno. A fronte di una media Ue di 9,1 nascite ogni mille abitanti nel biennio 2020-21, in Italia la quota si è fermata a 6,8”.

Stefano Campostrini, professore di Statistica Sociale alla Ca’ Foscari di Venezia, avverte: “Tra i diversi mega-trend che interessano il nostro Paese quelli più consistenti con i quali dobbiamo fare i conti da subito sono l’invecchiamento della popolazione e la transizione epidemiologica: il rapporto tra giovani e anziani è raddoppiato nel giro di una generazione e la presenza di malattie croniche è la quotidianità per una parte sempre più consistente della popolazione”. La combinazione di questi mega-trend “potenzialmente sta scatenando una tempesta perfetta: aumento dei bisogni di cura e riduzione della capacità di risposta. Non esistono soluzioni semplici a problemi così complessi. Per questo diventano fondamentali approcci olistici, che coinvolgano diversi livelli della società in una combinazione di politiche e interventi, pubblici e privati. Questi, come per i cambiamenti climatici, devono prevedere azioni tese a mitigare i fenomeni e azioni di adattamento al quadro profondamente mutato della società. Le tecnologie certamente potranno aiutare, ma da sole non sono la soluzione: formazione, nuove figure e modi di lavorare sono essenziali per un loro efficace sfruttamento che non lasci indietro nessuno”, evidenzia dunque Campostrini. Per parlare di vecchi ed anziani, prosegue Alberto Cester, già Direttore dell’Unità di Geriatria, sede ospedaliera di Dolo- Ulss 3 Serenissima, bisogna “uscire dalla retorica e da frasi stereotipate, quali: vita agli anni, anni alla vita, morire giovani il più tardi possibile, eccetera. Si dovrà considerare la vecchiaia sempre più avanzata e con sempre meno disabilità e malattie, come una conquista sociale e sanitaria, che costa e che è appannaggio di società avanzate. I vecchi sono cambiati, guadagnano in longevità e i nuovi nati guadagnano dal canto loro in speranza di vita alla nascita”.

Denatalità e invecchiamento in Veneto innalzano sempre di più l’età media della popolazione (che nell’ultimo biennio ha superato i 46 anni, crescendo di oltre quattro anni in un ventennio) e di conseguenza dei lavoratori. Secondo Veneto Lavoro, tra 2013 e 2023 le assunzioni di over 55 nell’ambito del lavoro dipendente sono passate da 37.000 a oltre 94.000 e queste persone più difficilmente lasciano il posto anche dopo aver raggiunto l’età pensionabile, evidenzia ancora la Uil. Alla cui assemblea è intervenuto anche Giuliano Zignani, presidente Patronato Ital Uil, sottolineando che “mettere un argine al tema dell’invecchiamento demografico è sicuramente una delle sfide del nostro presente. In questo scenario, i flussi migratori sono una grande risorsa per il nostro Paese: lavoratori di oggi e di domani. Basti pensare che dal 2006 i nostri sportelli hanno gestito oltre 1.200.000 domande di migranti. Non possiamo ignorare questi dati”. Toigo invece ricorda che proprio ieri il presidente dell’Istat Francesco Maria Chelli “ha confermato che anche nello scenario di natalità più favorevole ci sarà comunque un’amplificazione dello squilibrio tra nuove e vecchie generazioni, cosa che comporterà un impatto importante sulle politiche di protezione sociale. In questo momento non si intravedono cambi di scenario. Per invertire la rotta, occorrono politiche industriali e sociali adeguate. Istituzioni e servizi si devono adattare velocemente alle nuove forme familiari, facilitando uscita di casa, certezza economica, equilibrio dei ruoli all’interno delle coppie e conciliazione famiglia-lavoro. Senza rilancio dell’economia, senza lotta alla precarizzazione del lavoro, senza politiche per le famiglie e per gli anziani, senza un’idea di Paese che passi attraverso politiche a medio e lungo termine, questo inverno è destinato a durare a lungo”

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