a cura dell’Avvocato Angelo Grego

 

Il riposo è un diritto inalienabile del lavoratore, a cui non si può rinunciare neanche in cambio di una maggiorazione salariale. Di solito sono i contratti collettivi ad occuparsi di questa materia, nell’ambito però della cornice generale imposta dalla legge a cui non si può derogare in senso più sfavorevole al lavoratore. In altri termini, il contratto può prevedere solo una pausa più prolungata o più frequente rispetto a quella imposta dalla normativa generale. Detto ciò vediamo quanti minuti di pausa in 6 ore di lavoro spettano di diritto a ciascun dipendente.

Il diritto alla pausa durante l’orario di lavoro è regolato principalmente dall’articolo 8 del Decreto Legislativo 8 aprile 2003, n. 66, che stabilisce le modalità e la durata delle pause per i lavoratori in relazione all’orario di lavoro giornaliero. Secondo tale normativa, qualora l’orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore, il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa, le cui modalità e la cui durata sono stabilite dai contratti collettivi di lavoro (CCNL). In difetto di disciplina collettiva, la durata della pausa non deve essere inferiore a dieci minuti e la sua collocazione deve tener conto delle esigenze tecniche del processo lavorativo.

Pausa di 30 minuti

In assenza di specifiche disposizioni contrattuali, la legge prevede che al lavoratore debba essere concessa una pausa di almeno dieci minuti qualora l’orario di lavoro giornaliero ecceda le sei ore. Non poche volte però i CCNL prevedono una pausa superiore, soprattutto per lavori usuranti (ad esempio i dipendenti del Ministero della Giustizia hanno diritto a 30 minuti di pausa).

Tale pausa spetta indifferentemente ai lavorati full time che ai part time verticali (il problema non si pone invece per il part time orizzontale che prevede una durata ridotta della giornata lavorativa).

Questa pausa è finalizzata al recupero delle energie psico-fisiche e alla eventuale consumazione del pasto, nonché ad attenuare il lavoro monotono e ripetitivo.

Contrattazione collettiva e pausa sul lavoro

La durata e le modalità della pausa possono variare in base ai contratti collettivi di lavoro applicabili. Ad esempio, nel settore della sanità pubblica, il CCNL comparto sanità pubblica 2016-2018 prevede una pausa di almeno 30 minuti per il personale che lavora più di sei ore, purché non in turno (Tribunale Ordinario di Reggio Calabria, sentenza n. 1278 del 09 giugno 2022). Analogamente, il CCNL del comparto delle Agenzie fiscali stabilisce che il personale ha diritto a una pausa di almeno 30 minuti se la prestazione di lavoro giornaliera eccede le sei ore continuative (Cass. Civ., Sez. Lavoro, n. 31137 del 28-11-2019).

Esempi di applicazione del diritto alla pausa

Il Tribunale Ordinario di Cassino, sezione lavoro, ha riconosciuto il diritto dei dipendenti alla fruizione di almeno 10 minuti di pausa per il recupero delle energie psico-fisiche nei turni orari superiori alle sei ore (Tribunale Ordinario Cassino, sez. 3, sentenza n. 1005 del 18 dicembre 2019).

In un’altra pronuncia, il Tribunale di Roma ha stabilito che il personale ha diritto a una pausa di almeno 30 minuti per il recupero delle energie psicofisiche e la consumazione del pasto, secondo la disciplina di cui all’art. 29 del CCNL integrativo del 20/9/2001 e all’art. 4 del CCNL del 31/7/2009 (Tribunale Ordinario di Roma, sez. LV, sentenza n. 8580 del 19 ottobre 2022).

Pausa tra un turno e l’altro

Oltre alla pausa all’interno della medesima giornata lavorativa, la legge prevede una durata minima della pausa tra un turno e l’altro. Quest’ultima non può essere inferiore a 11 ore, salvo diversa e più favorevole previsione del CCNL. Ne deriva – per deduzione – che l’orario giornaliero di lavoro non può essere superiore a 13 ore (13 ore di lavoro + 11 di pausa = 24 ore).

L’organizzazione dell’orario giornaliero (numero di ore lavorative, ora d’inizio e di termine della prestazione e durata degli intervalli di riposo) è, in genere, rimessa a criteri individuati a livello aziendale.

Il datore di lavoro può instaurare un regime di orario:

  • elastico, in virtù del quale i lavoratori possono iniziare e concludere il lavoro entro una determinata fascia oraria;
  • più rigido in presenza di esigenze di tipo produttivo, quando la lavorazione deve iniziare puntualmente in un determinato momento (ad esempio: lavorazioni a catena o lavoro degli addetti all’accensione di macchine).

I dipendenti possono entrare in azienda nella fascia compresa tra le ore 8.00 e le 9.30. Conseguentemente, essi possono uscire tra le 17.00 e le 18.30 (considerando un’ora di pausa).

Turni lavoro part time

Con una recente e innovativa, quanto rivoluzionaria sentenza (n. 11333/2024), la Cassazione ha fissato precisi obblighi del datore di lavoro nella preventiva indicazione dei turni per chi svolge lavoro part time.

Secondo la Corte, quando il lavoro a tempo parziale è organizzato in turni, l’azienda deve indicare specificamente e con precisione nel contratto di lavoro la collocazione temporale dell’orario della prestazione lavorativa, con riferimento a giorno, settimana, mese ed anno. Non è consentito al datore di lavoro, nemmeno in base all’art. 5, comma 3, D.Lgs. n. 81 del 2015, derogare a tale esigenza e indicare l’orario di lavoro su turni successivamente alla conclusione del contratto, in assenza di clausole flessibili ed elastiche previste dal contratto di lavoro. Nel caso specifico, la Suprema Corte. ha escluso che tale facoltà possa essere legittimata dagli articoli 3 e 9 del CCNL per il personale delle Società e Consorzi Concessionarie di Autostrade e Trafori. Dette disposizioni non possono essere interpretate come autorizzazione a comunicare i turni ai lavoratori part-time con cadenza annuale o mensile, se non specificati nel contratto di lavoro.

Fonte La Legge per tutti

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