Con la sua mostra personale “I Giardini di Eva”, l’artista di Marano Vicentino, Eva Trentin, rappresenta e porta alto l’onore del suo paese al prestigioso Forte Marghera. Grazie al suo lavoro unico, Trentin unisce il Vicentino e Venezia attraverso opere che raccontano il legame tra arte, natura e sostenibilità. La mostra, curata da Michela Barausse, si terrà dall’11 al 15 settembre presso la Polveriera Francese, uno spazio suggestivo che ben si sposa con le creazioni sensoriali dell’artista.
Eva Trentin, maestra d’arte e designer d’interni, è nota per la sua capacità di utilizzare materiali naturali e tecniche come la stampa botanica e la cianotipia, porta in scena opere che celebrano la bellezza e la transitorietà della natura. La sua arte è un viaggio intimo che si nutre di elementi raccolti dal mondo naturale, trasformandoli in narrazioni visive cariche di emozioni. L’artista spiega: “Ogni mia opera è una storia, un ricordo legato al luogo in cui ho raccolto il materiale”. Grazie a lei, Marano diventa protagonista di una nuova forma di dialogo artistico tra passato e futuro, tra tradizione e innovazione.
La mostra sarà aperta al pubblico dal 17 alle 22 durante i giorni feriali, con un’apertura mattutina aggiuntiva nel weekend. Un’opportunità imperdibile per conoscere una delle voci più originali dell’arte contemporanea del nostro territorio.
Intervista all’artista
Eva Trentin ha condiviso con noi la sua visione artistica e il percorso che l’ha portata a essere una delle voci più interessanti dell’arte contemporanea legata alla natura.
Qual è stata la scintilla che ti ha portata a scegliere l’arte come carriera? C’è stato un momento decisivo o un episodio particolare che ti ha spinta a esplorare il legame tra arte e natura?
“La scintilla è stata una porta che si è chiusa… ed è proprio vero il detto “chiusa una porta, si apre un portone”. Non sono mai stata licenziata nei diversi lavori che ho svolto, sono sempre stata una persona che si impegna al massimo in tutte le cose. Mi piacciono le sfide: una volta ho lasciato un lavoro a tempo indeterminato per un salto nel buio. Ho cambiato molti lavori per assimilare tutto ciò a cui ero interessata. L’arte è sempre stata nei miei pensieri, ma, essendo uno dei lavori più complessi e difficili, non l’avevo mai considerata seriamente. Ho iniziato lavorando in un negozio di arredamento, poi sono passata alla progettazione e alla realizzazione di opere architettoniche e di design. Alla soglia dei quarant’anni, con due gemelle di quattro anni e il supporto di mio marito, ho deciso che era il momento di provare: “ora o mai più”. Così è iniziata la mia nuova avventura, ancora in salita ma piena di soddisfazioni.”
Come hai mosso i tuoi primi passi nel mondo dell’arte? Hai frequentato corsi specifici o hai iniziato a sperimentare da autodidatta?
“Ho frequentato l’Istituto Statale d’Arte a Nove di Bassano, nella sezione architettura e arredamento, per poi conseguire una laurea breve all’I.S.A.I. Istituto Superiore Architettura d’Interni. Ora sperimento da autodidatta, studiando libri e seguendo corsi specializzati.”
Le tue opere evocano emozioni molto intime: c’è un’esperienza personale o una memoria specifica che ispira i tuoi Giardini Contemporanei?
“Ogni stampa mi riporta al luogo in cui ho raccolto il materiale, quindi c’è sempre un ricordo di quel posto, ma anche del momento in cui è avvenuto. A volte ci sono fiori o foglie regalati, altre volte raccolti durante una passeggiata, oppure caduti a terra in autunno, foglie di alberi che magari non ci sono più. Ogni elemento racchiude una storia, sono l’essenza di ciò che mi circonda.”
Cosa ti ha portata a scegliere materiali naturali e tecniche sostenibili come la cianotipia e la stampa botanica? C’è stata una motivazione personale o ambientale dietro questa scelta?
“La sorpresa, la curiosità, la sfida… Mi sono sempre piaciute le cose difficili. Racconto sempre alle mie ragazze che solo le cose difficili portano a risultati straordinari. Sono tecniche sperimentali perché offrono infinite variabili e possibilità di sviluppo. Con la cianotipia posso usare sia materiale naturale che fotografico, mentre con la stampa botanica posso trasferire il colore e la forma di foglie e fiori come fosse una vera e propria “sindone”, un’impronta fossile. È affascinante riuscire a ottenere una tavolozza di colori utilizzando ciò che ci circonda. Le prossime sperimentazioni saranno con l’estrazione dei colori naturali. Perché acquistare prodotti chimici se possiamo ottenere colori da scarti naturali? Adoro il colore delle bucce di cipolla rossa e ci sono tantissime altre possibilità, come i torsoli delle pannocchie o le foglie autunnali. Non sono ancora sostenibile al 100%, perché utilizzo resine e vernici per proteggere la carta, ma ci sto lavorando.”
Quali sono le sfide più grandi che affronti nel creare arte sostenibile? Hai mai dovuto rinunciare a un materiale o a un progetto per motivi ecologici?
“Non sempre si ottiene il risultato sperato, soprattutto all’inizio. Ho avuto difficoltà perché non tutto il materiale vegetale trasferisce il colore. La sfida più grande è il passare del tempo, la ciclicità delle stagioni e l’adattamento continuo ai materiali che la natura ci offre. Il colore naturale non è monovibrazionale come quello chimico: ogni singolo colore è composto da tante sfumature, le cui frequenze si sommano, trasmettendo un senso di equilibrio e piacere estetico.”
Ci sono stati artisti o mentori che ti hanno ispirata durante il tuo percorso? In che modo queste influenze hanno plasmato il tuo stile attuale?
“Tutto mi ispira, dall’arte all’architettura e al design. Klimt per l’uso dell’oro, Klee per la tassellazione, ma mi ispiro a tutto ciò che trovo bello. Come diceva Dostoevskij, “la bellezza salverà il mondo”. Per quanto riguarda l’universo del colore naturale, mi ispiro a India Flint, Irit Dulman e Sasha Duerr, ma anche a grandi maestre italiane come Marisa Tacchi e Carla Arnò, che lavorano principalmente con tessuti. Io ho cercato di utilizzare una tecnica che solitamente viene applicata al tessuto, ma l’ho adattata in modo unico e personale alle mie opere.”
Laura San Brunone
Ph di Filippo Parisotto