a cura di Tatiana Ruaro pedagogista
Il padre di Filippo Turretta, nel confrontarsi con la terribile realtà del femminicidio commesso dal figlio, avrebbe dovuto affrontare molto diversamente questa situazione estremamente delicata e complessa.
In questo contesto, le parole pronunciate dal padre avrebbero dovuto essere attentamente ponderate e riflettute, scelte con la massima prudenza. I commenti delle persone alle parole: “Avevo paura che si suicidasse” sono state di altrettanto odio e rabbia, comprensibili, ma non giustificabili.
La mancanza di una cultura educativa che promuova il rispetto, l’uguaglianza di genere e il rifiuto della violenza può essere considerata una delle cause profonde di tali tragedie.
Ognuno di noi vive nella propria quotidianità episodi di rabbia, mancanza di empatia e rispetto… tutto ciò che vediamo e a cui assistiamo, generano modelli comportamentali, ne siamo influenzati socialmente e li imitiamo.
Questi eventi tragici ci stanno rivelando un concetto fondamentale: la realtà di crescere in una famiglia in un paese privilegiato, in cui il benessere materiale sembra non mancare, e di partecipare attivamente alla comunità non è garanzia di normalità o di assenza di sentimenti di odio.
Ci dovrebbe spinge a riflettere sul fatto che la violenza di genere e gli atti di femminicidio non sono limitati a contesti socio-economici svantaggiati o a comunità marginalizzate. Non possiamo più nasconderci dietro l’illusione che vivere in una società apparentemente prospera e civilizzata ci protegga automaticamente da tali tragedie.
È un richiamo a porre l’attenzione sulla necessità di una cultura educativa che promuova il rispetto, l’empatia e l’uguaglianza di genere sin dai primi anni di vita, in modo da prevenire la nascita di pensieri e comportamenti violenti.
L’adulto piu del bambino…ha la responsabilità di dare forma alla società in cui vive.
In questa situazione, sarebbe stato opportuno che il padre cercasse il supporto di un professionista specializzato.
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