AGI- La scarsa concentrazione non indica mancanza di intelligenza: è piuttosto la prova di un cervello impegnato in più attività. A rivelarlo uno studio condotto dai neuroscienziati del Carney Institute for Brain Science della Brown University, pubblicato su Nature Human Behaviour. La ricerca illustra come le parti del cervello debbano cooperare per concentrarsi ad elaborare informazioni importanti, filtrando al contempo le distrazioni. Se si immagina un ristorante affollato, con il rumore di piatti, la musica che suona, persone che parlano a voce alta l’una sull’altra, è sorprendente che qualcuno, in un ambiente del genere, riesca a concentrarsi a sufficienza per sostenere una conversazione. Lo studio fornisce alcune delle informazioni più dettagliate sui meccanismi cerebrali che aiutano le persone a prestare attenzione in un ambiente ricco di distrazioni e su ciò che accade quando invece non riescono a concentrarsi. Prove precedenti hanno stabilito che le persone quanto si concentrano, possono valorizzare le informazioni rilevanti, escludendo allo stesso tempo le distrazioni.
La nuova ricerca svela il processo con cui il cervello coordina queste due funzioni critiche. “Allo stesso modo in cui riuniamo più di cinquanta muscoli per eseguire un compito fisico come l’uso delle bacchette, il nostro studio ha scoperto che possiamo coordinare più forme diverse di attenzione per eseguire atti di destrezza mentale”, ha detto Harrison Ritz, che ha condotto lo studio mentre era dottorando alla Brown. “I risultati forniscono indicazioni su come le persone usano le capacità relative all’attenzione e su cosa genera fallimenti – ha affermato, il coautore, Amitai Shenhav, professore associato presso il Dipartimento di Scienze Cognitive, Linguistiche e Psicologiche della Brown -. Questi risultati possono aiutarci a capire come noi esseri umani siamo in grado di esibire una così grande flessibilità cognitiva, che ci consente di prestare attenzione a ciò che vogliamo, quando vogliamo. Possono anche aiutarci a capire meglio le limitazioni di questa flessibilità e come queste possano manifestarsi in alcuni disturbi legati all’attenzione, come l’ADHD”, ha continuato Shenhav. Per condurre lo studio, Ritz ha somministrato ai partecipanti un compito cognitivo mentre misurava la loro attività cerebrale in una macchina fMRI. I partecipanti hanno visto una massa vorticosa di punti verdi e viola che si muovevano a destra e a sinistra, come uno sciame di lucciole. I compiti, di difficoltà diversa, consistevano nel distinguere il movimento e i colori dei punti. In un esercizio, ad esempio, i partecipanti dovevano selezionare il colore prevalente dei punti in rapido movimento quando il rapporto tra viola e verde era quasi a metà. Ritz e Shenhav hanno poi analizzato l’attività cerebrale dei partecipanti in risposta ai compiti. “Si può pensare al solco intraparietale come a due manopole di una radio: una che regola la messa a fuoco e una che regola il filtraggio – ha spiegato Ritz, che ora è borsista post-dottorato presso il Princeton Neuroscience Institute -. Nel nostro studio, la corteccia cingolata anteriore tiene traccia di ciò che accade con i punti. Quando la corteccia cingolata anteriore riconosce che, ad esempio, il movimento rende il compito più difficile, spinge il solco intraparietale a regolare la manopola di filtraggio per ridurre la sensibilità al movimento. Nello scenario in cui i punti viola e verdi sono quasi al 50/50, potrebbe anche dirigere il solco intraparietale a regolare la manopola di messa a fuoco per aumentare la sensibilità al colore. Ora le regioni cerebrali interessate sono meno sensibili al movimento e più sensibili al colore appropriato; quindi, il partecipante è in grado di fare la scelta corretta”, ha aggiunto Ritz.
La descrizione di Ritz sottolinea l’importanza della coordinazione mentale rispetto alle capacità mentali, rivelando che un’idea spesso espressa è un’idea sbagliata. “Quando si parla dei limiti della mente, spesso si parla di esseri umani che non hanno la capacità mentale o di esseri umani che non hanno potenza di calcolo. Questi risultati supportano una prospettiva diversa sul perché non siamo sempre concentrati. Non è che il nostro cervello sia troppo semplice, ma piuttosto che il nostro cervello è davvero complicato, ed è la coordinazione che è difficile”, ha sottolineato Ritz. I progetti di ricerca in corso si basano sui risultati di questi studi. In collaborazione, medici e scienziati della Brown University e del Baylor College of Medicine stanno ora studiando strategie di concentrazione e filtraggio in pazienti con depressione resistente al trattamento. I ricercatori del laboratorio di Shenhav stanno esaminando il modo in cui la motivazione guida l’attenzione; uno studio guidato da Ritz e dalla studentessa di dottorato della Brown, Xiamin Leng, esamina l’impatto delle ricompense e delle sanzioni finanziarie sulle strategie di concentrazione e filtraggio.