Un bel secondo posto per il Veneto.
Sono 15.600.787 gli animali microchippati in Italia. Al 4 febbraio risultano iscritti nelle Anagrafi regionali degli animali d’affezione 14.298.845 cani, 1.299.321 gatti e 2.621 furetti. Lo rende noto l’Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa). Un anno fa, al 4 febbraio 2023, erano 14.983.797, di cui 13.838.856 cani, 1.142.504 gatti e 2.437 furetti.
Le cifre sono estratte dalla banca dati dell’Anagrafe degli animali d’affezione gestita dal Ministero della Salute, che viene alimentata e aggiornata almeno una volta al mese dalle Regioni e dalle Province autonome.
Come lo scorso anno, la Regione con più animali microchippati – 2.484.207 – è la Lombardia (2.014.516 cani, 468.689 gatti e 1002 furetti). La Regione con meno animali iscritti all’Anagrafe – 35.009 – è la territorialmente piccola Valle d’Aosta (28.830 cani e 6.179 gatti). Nella classifica delle Regioni con il maggior numero di animali domestici microchippati, secondo è il Veneto (1.648.410), seguito dall’Emilia Romagna (1.543.895), dal Piemonte (1.250.097) e dalla Campania (1.248.539). Impossibile stimare la percentuale di cani microchippati sul totale anche a causa del mancato rispetto dell’obbligo da parte di molti proprietari.
Dai dati del Ministero emerge come sia sceso il numero dei quattro zampe microchippati nel Lazio (soppiantato ora nella classifica dalla Campania): lo scorso anno era al 5° posto con 1.167.251 animali, mentre al 4 febbraio 2024 ne risultano 1.165.623.
La banca dati è uno strumento utile a conoscere l’anagrafe di provenienza di un cane smarrito: basta digitare il codice a 15 cifre del microchip nella stringa di ricerca. La lettura del microchip per ottenere il codice può essere svolta dai servizi veterinari delle Asl e dagli ambulatori veterinari privati muniti del lettore. Nel caso in cui la ricerca dell’identificativo non produca risultati, si può provare a ricercare il codice nelle singole Anagrafi Territoriali poiché le Regioni aggiornano i dati con differenti tempistiche.
L’Oipa suggerisce di far controllare il microchip almeno una volta l’anno poiché vi possono essere casi, anche se rari, di microchip guasti e dunque non leggibili.
Un quadro sui dati. Dalle cifre della banca dati ministeriale emerge chiaramente come siano ancora pochi i gatti microchippati, senza considerare i furetti, meno presenti nelle famiglie italiane, poiché non esiste alcun obbligo d’iscrizione alle Anagrafi territoriali per queste due specie. L’Oipa da tempo chiede che anche per gatti e furetti sia introdotto con legge nazionale l’obbligo di microchippatura, efficace strumento per combattere il randagismo.
«L’obbligo del microchip per i cani è un efficace metodo di lotta al randagismo sia per identificare i cani presenti sul territorio, sia per riportare in famiglia animali smarriti. Stessa funzione potrebbe avere per gatti e furetti», commenta il presidente dell’Oipa, Massimo Comparotto. «In Italia, la legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo (legge n.282/91) ha reso obbligatoria l’iscrizione di ogni cane all’anagrafe regionale, sia esso di proprietà privata o randagio, e questo è un chiaro ostacolo all’abbandono di un cane adottato da un canile. Occorrerebbe ora introdurre l’obbligo anche per gli altri animali d’affezione».
Per quanto riguarda i gatti, non essendo obbligatoria la loro microchippatura, a livello nazionale, l’Oipa informa che è online dal 2011 un’Anagrafe nazionale felina (Anf) gestita dall’Associazione nazionale medici veterinari italiani (Anmvi) che registra, su base volontaria dei richiedenti, i dati identificativi dei gatti con microchip. Tutti i proprietari di gatti possono rivolgersi a un medico veterinario aderente all’Anf per l’identificazione e la registrazione del gatto.
«In attesa dell’introduzione di un obbligo generale, ci appelliamo a tutte le Regioni affinché con proprie leggi introducano l’obbligo d’iscrizione all’Anagrafe degli animali d’affezione. Sarebbe un ulteriore stretta al fenomeno dell’abbandono e della sovrappopolazione degli animali chiusi in canili e gattili», conclude Comparotto.