di Federico Piazza

Anche nel Vicentino rimane ampio il divario occupazionale e retributivo tra uomini e donne. Perlomeno nelle aziende private. È infatti di oltre 10mila euro la differenza di retribuzione media annuale tra lavoratori e lavoratrici dipendenti del settore privato non agricolo in provincia di Vicenza. In media, oltre 28mila euro per gli uomini rispetto a circa 18mila euro per le donne, per effetto delle differenze di tipologie di contratti e di orari di lavoro. La retribuzione media per le donne per diverse fasce di età non arriva a 22mila euro, quella degli uomini supera i 34mila euro nella fascia 55-59 anni. Mentre il divario tra i tassi di occupazione maschile e femminile è di oltre 15 punti percentuali (74,2 % gli uomini e 58,9% le donne nel 2021). La forbice si è ridotta rispetto agli oltre venti punti di differenza che si registravano intorno al 2010. Ma rimane ampia. Tant’è che l’occupazione bassa e il part time diffuso fanno sì che le donne che in provincia lavorano 52 settimane l’anno (82mila) siano ancora oltre un terzo in meno degli uomini (135mila).
Questi sono solo alcuni dei dati Istat elaborati dal Centro Studi di Cisl Vicenza nell’ultimo report sulle differenze di genere nel mercato del lavoro provinciale. Differenze che nelle aziende manifatturiere diventano ancora più marcate. Un recente approfondimento del Centro Studi della Camera di Vicenza su dati Istat e Infocamere del 2021 evidenzia infatti che nel settore manifatturiero, che in provincia impiega circa il 42% degli addetti, le donne sono un quarto della forza lavoro. Soprattutto impiegate e operaie. E, a parità di giornate lavorate in un anno, ricevono retribuzioni ben più basse degli uomini. In media 1000 euro in meno per le apprendiste (-5,8%), 5900 euro in meno per le operaie (-21,4%), 10.800 euro in meno per le impiegate (-25,5%), 7700 euro in meno per i quadri intermedi (-10,2%), 14mila euro in meno per le dirigenti (-25,5%).
Va meglio nel commercio, che nel Vicentino impiega quasi il 15% degli addetti, di cui un terzo donne concentrate in ruoli impiegatizi. Il divario salariale a parità di giornate lavorate è meno accentuato per apprendiste (800 euro in media, -5,6%), operaie (2000 euro, -9,4%), impiegate (1300 euro, -4,6%), quadri (1900 euro, -4,1%). Le donne dirigenti nel commercio invece guadagnano in media 8600 euro in più dei colleghi nello stesso ruolo (-5,6% per gli uomini).
E se il Vicentino non brilla in termini di inclusione delle donne nel mercato del lavoro, il resto d’Italia fa peggio. Non a caso, secondo le statistiche Eurostat, il Belpaese in Europa è al terzultimo posto come occupazione femminile. L’Italia è solo tredicesima nell’Ue secondo l’Indice dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE). E a livello mondiale è 79sima su 146 paesi analizzati del Global Gender Gap Report del World Economic Forum, avendo perso dal 2022 al 2023 ben 16 posizioni. Un ritardo che è ancor più palese nei ruoli di vertice nelle imprese. Secondo società specializzate nella ricerca di profili professionali di alto livello (head hunter), le donne in posizioni apicali non arrivano mediamente al 20% e sono ben sotto il 10% in diversi settori industriali. Con l’eccezione dei servizi, dove le donne quadri e dirigenti sono il 40-45%.
Però qualcosa sta cambiando, sembra. La sensibilità delle aziende sul tema dei cambiamenti culturali e organizzativi necessari per ridurre il divario occupazionale e retributivo tra uomini e donne sta infatti aumentando. Un esempio è la rapida crescita delle certificazioni volontarie sulla parità di genere nelle organizzazioni lavorative pubbliche e private. Anche in Veneto.
Si tratta di un fenomeno recente, visto che il Sistema di certificazione della parità di genere è stato avviato nel 2021. Introdotto dal PNRR, è finalizzato all’inclusione e coesione sociale in materia di cosiddetto Gender Gap. Cioè mira a contribuire a migliorare la qualità del lavoro femminile, promuovere la trasparenza sui processi lavorativi nelle imprese, ridurre le differenze salariali tra uomini e donne, aumentare le opportunità di crescita in azienda, tutelare la maternità. Con l’obiettivo di fare avanzare l’Italia di cinque punti nella classifica dell’Indice EIGE.
Secondo i dati di Accredia, l’Ente Unico nazionale di accreditamento degli organismi di certificazione, il Veneto è la terza regione d’Italia dopo Lombardia e Lazio come numero di siti lavorativi pubblici e privati (sedi e unità locali di aziende, associazioni private, uffici della pubblica amministrazione) certificati UNI/PdR 125:202 sulla parità di genere. Da maggio a luglio 2023 in regione sono aumentati da 294 a 339 (su un totale di 2500 in tutta Italia).
E l’interesse tra le aziende sta aumentando. Non solo e non tanto perché la certificazione volontaria sulla parità di genere, che dura tre anni ed è rinnovabile, comporta agevolazioni contributive per le imprese e migliora il rating nelle gare di appalto. Bensì perché diventa anche un vantaggio competitivo nel mercato del lavoro. Spiega Mirta Corrà, avvocato e consulente sui percorsi di certificazione parità di genere di Niuko Innovation & Knowledge, società di formazione aziendale di Confindustria Vicenza: «La certificazione di genere implica un impegno nella modifica dell’organizzazione del personale e nelle scelte e gestione delle retribuzioni e dei percorsi di carriera. Un numero crescente di aziende di diversi settori, dai servizi all’informatica alla metalmeccanica, si sta avvicinando a questa certificazione per acquisire competenze nella gestione delle risorse umane che permettono di non perdere posizioni nel mercato. Rendersi attrattive, migliorare la reputazione, rassicurare i dipendenti che l’azienda è pronta a venire incontro alle loro esigenze personali e a supportarli. Molto richiesta è certamente la flessibilità per la conciliazione famiglia-lavoro», spiega Corrà. «Questo è rassicurante per i dipendenti. Inoltre, è molto importante avere una policy aziendale chiara che spiega che le donne sono invitate a fare carriera e che il part-time, che le donne fanno non perché lo vogliono ma perché non trovano altre soluzioni per la conciliazione famiglia-lavoro, non è ostativo. E ovviamente occorre comunicarlo anche esternamente».
Le imprese più attive per ora sono soprattutto quelle medio-grandi. Ma è in corso uno sforzo del Sistema Sistema di certificazione della parità di genere per agevolare questo tipo di processi anche nelle realtà più piccole. Nei prossimi mesi, infatti, le Pmi e le micro imprese con almeno un dipendente interessate a ottenere la certificazione UNI/PdR 125:2022 potranno usufruire di fondi PNRR ad hoc. Le domande per intercettare la prima tranche da quattro milioni di euro, di cui all’incirca la metà fruibili da aziende con sede nel Nord Italia, vanno presentate per via telematica sulla piattaforma ReStart di Infocamere dal 6 dicembre 2023 al 28 marzo 2024. Fino a esaurimento fondi. Nello specifico, sono stanziati 1,25 milioni di euro per contributi sotto forma di voucher per servizi di assistenza tecnica e accompagnamento alla certificazione e 2,75 milioni per i servizi di certificazione. Una seconda tranche di altri quattro milioni di fondi PNRR potrebbe essere disponibile successivamente, se l’iniziativa incontra un’alta adesione.
I contributi pubblici, che possono coprire completamente o parzialmente le spese delle pratiche, non saranno però erogati direttamente alle aziende. Bensì ai consulenti ed enti certificatori, nei limiti di massimali previsti dal Bando: fino a 2500 euro per ciascuna impresa per assistenza tecnica e accompagnamento, fino a 12.500 euro per impresa per servizi di certificazione erogati da organismi di certificazione accreditati da Accredia iscritti nell’apposito Elenco.
Alle domande di ammissione ai contributi occorre allegare un test di pre-screening di autovalutazione della situazione che raggiunga un punteggio minimo per un certo numero di indicatori, variabile a seconda delle dimensioni dell’azienda, e un preventivo formulato da un organismo di certificazione accreditato.

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