Non va per il sottile l’onorevole Sergio Berlato, deputato cacciatore del Parlamento europeo per la lista di Alleanza Nazionale nella circoscrizione nord-est, quando risponde con un comunicato al dibattito sollevato nei giorni scorsi a Bruxelles dal collega Andrea Zanoni, deputato indipendente al Parlamento europeo, animalista, ambientalista e presidente della Lega per l’Abolizione della Caccia del Veneto. “Nonostante la grave crisi economica ed occupazionale che sta attraversando il nostro Paese, non trova di meglio da fare che sollecitare le istituzioni alla protezione di qualche uccellino o di qualche insetto, o distinguendosi in ogni occasione nel tentativo di speculare su ogni fatto di cronaca in cui venga usato impropriamente un’arma da caccia”, tuona Berlato.
Certamente, sulla priorità e la natura delle polemiche e delle questioni che ogni libero individuo, ancor più se in rappresentanza del popolo in un’istituzione tanto importante come il Parlamento europeo, intende sollevare, i punti di vista, inevitabilmente in una società democratica, divergono. Fatto sta che, puntualmente, il tema della caccia in Italia – nella fattispecie al nord – si ripresenta insistentemente, alimentando discussioni movimentate, che talora sfiorano il fazioso. “L’on. Andrea Zanoni non perde occasione per tentare di dipingere i cacciatori come potenziali delinquenti, pericolosi per se stessi e per la collettività solo per il fatto che posseggono legalmente delle armi”, afferma Berlato.
La replica a Zanoni arriva veloce e intende accertare, dati alla mano, quanto lo “sport” della caccia, in Italia, “è almeno dieci volte meno pericolosa della media delle altre attività umane”. “Rispetto a una media di una ventina di incidenti mortali a stagione, sempre troppi, ma meno che fisiologici, i morti per cause traumatiche in Italia si aggirano intorno ai venticinquemila l’anno. Ultimo dato ufficiale Istat (2009): 24.642, uno su 2.500 abitanti, pari allo 0,04 della popolazione italiana. Ovvero, per ogni italiano che muore a causa di incidente, l’incidenza della variabile “caccia” è 0,0012. Cioè, un incidente mortale classificabile come “venatorio” ogni milleduecento incidenti. Pur considerando che il rapporto fra numero dei cacciatori e totalità della popolazione non raggiunge il centesimo: 1/85. I numeri non ingannano”.
Il documento prosegue con un lungo elenco di “attività”, dal guidare la macchina, all’attività lavorativa, fino all’andare a pesca, che, stando ai dati ufficiali di importanti istituti nazionali come INAIL, Istituto Eurispes e Osservatorio Indipendente di Bologna Morti sul Lavoro, sarebbero molto più pericolose che andare a caccia. “La caccia, invece, che da tempo si sta imponendo regole di sicurezza sempre più stringenti, fa segnalare fra i propri appassionati cultori, ormai intorno alle settecentomila unità, una esigua incidenza. Meno dello 0,0030%, che corrisponde a una disgrazia irreparabile ogni 30-35.000 utenti, mentre per tutte le altre attività il bilancio è almeno dieci volte più pesante”.
“L‘on. Andrea Zanoni”, conclude Berlato, “prendendo a pretesto il recente caso del ragazzo che è andato a scuola con il fucile sottratto alla custodia del padre, sta ancora una volta invocando l’emanazione di normative più restrittive per coloro che detengono legalmente delle armi da caccia, ignorando che la maggior parte dei decessi per armi riguardano le armi da difesa ed i più banali coltelli da cucina usati in modo improprio. In Italia esistono già delle norme molto rigide per il possesso e la detenzione delle armi da caccia: chi possiede un’arma da caccia è persona che possiede delle specifiche autorizzazioni dopo essersi sottoposto ad accurate visite mediche che ne attestano l’idoneità psicofisica”.
A.M.