Dal suo letto  nell’unità operativa di Chirurgia plastica del Policlinico di Palermo, Haisman, ventitrenne sudanese, cerca aiuto per rintracciare i suoi fratelli: Asil, 13 anni, e Haider, di 16, unici altri superstiti della sua famiglia. Dal Sudan, come tanti immigrati, erano partiti in cerca di una vita migliore, ma la loro speranza si è infranta a fine luglio, al largo di Lampedusa. Il padre, la madre e la figlia di tre anni sono morti in mare, la moglie è morta in Libia. Lo scorso 25 luglio Haisman è arrivato con l’elisoccorso al pronto soccorso dell’Azienda ospedaliera universitaria di Palermo con ferite alla mano e al sopracciglio. Ricoverato in Chirurgia plastica, è stato operato e curato dai medici dell’equipe diretta dalla professoressa Adriana Cordova, direttrice del dipartimento di Chirurgia del Paolo Giaccone.

“Un caso davvero drammatico – racconta la chirurga -. Abbiamo operato Haisman per una lesione dei tendini flessori della mano sinistra e curato una ferita del sopracciglio e una cicatrice nel collo precedente ai traumi attuali. Ma siamo molto preoccupati, il paziente è disperato e riteniamo che sia a rischio di fuga e suicidio. Ho scritto alla Croce rossa e alla questura cercando di fare il possibile per aiutarlo a ricongiungersi ai suoi fratelli minori. Haisman è stato supportato dai nostri psicologi e oggi abbiamo chiesto anche una consulenza psichiatrica”. La comunicazione con il giovane naufrago, assistito da un interprete perché parla solo arabo, è molto difficile. I medici lo hanno già fermato mentre stava tentando di fuggire. “Questo caso ha in sé tutta la tragedia umana dei migranti – afferma il commissario del Policlinico, Maurizio Montalbano -. L’ospedale è impegnato non solo nell’assistenza medica al paziente, ma anche nel doveroso supporto psicologico e psichiatrico per aiutarlo a superare un’esperienza straziante che corre il rischio di condizionare tutta la sua vita. Chiediamo il supporto di tutte le Istituzioni per far sì che possa ricongiungersi ai fratelli, unici superstiti della sua famiglia”.

Al momento la conta dei morti delle ultime tragedie del mare è ferma a due: un bimbo ivoriano di un anno e mezzo e una giovane connazionale portati, durante la notte, all’obitorio di Lampedusa, dove già c’erano altre 2 salme recuperate nei giorni scorsi. Ma nei due naufragi avvenuti nel Canale di Sicilia ieri ci sarebbero 33 dispersi. E le speranze di trovarli vivi sono ormai poche.

I due barchini, che nonostante il mare in tempesta, sono stati fatti salpare da Sfax, in Tunisia, e che non hanno potuto neanche avvicinarsi alle coste italiane, si sono inabissati ieri. Complessivamente i salvati, a circa 23 miglia Sud-Ovest da Lampedusa, sono stati 57. Uomini e donne che nonostante lo choc hanno provato a ricostruire il dramma che hanno vissuto, prima con i mediatori dell’Oim e poi con la squadra mobile.
Sulla prima carretta c’erano 48 persone, 2 i dispersi. Sulla seconda, viaggiavano invece 44 subsahariani, 12 i naufraghi e 31 le persone di cui non si hanno più notizie. Il procuratore capo reggente di Agrigento, Salvatore Vella, ha aperto un’inchiesta, a carico di ignoti, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e morte quale conseguenza di altro reato. «Sono molto provati dal naufragio, condizioni psicologiche comprese di cui ci stiamo occupando», ha spiegato Ignazio Schintu, vice segretario generale della Croce rossa italiana che, dal primo giugno, gestisce l’hotspot.
Su Lampedusa, assieme alle forti raffiche di maestrale, ha soffiato però anche vento di speranza: sono stati portati in salvo i 34 migranti, fra cui 6 donne, che da venerdì sera, dopo che il loro barchino urtando gli scogli è naufragato, erano bloccati sulla scogliera di Capo Ponente.

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