Oltre 6.430 contatti, circa 3.450 donne seguite in un percorso personalizzato di autonomia, quasi 400 persone ospitate in luoghi sicuri: sono alcuni dei numeri presentati nella relazione al Consiglio regionale del Veneto sull’attività di prevenzione e contrasto alla violenza contro le donne, discussa ieri in commissione Politiche socio-sanitarie. “Analizzare numeri e dati è fondamentale per capire al meglio, quelle che sono le esigenze della popolazione, e quindi ottimizzare le risorse impiegate, e capire come sono state investite le risorse economiche pubbliche”, afferma Sonia Brescacin, presidente della commissione e consigliere regionale dell’intergruppo Lega-Liga Veneta. E i dati confermano una tendenza ormai consolidata negli ultimi anni, ovvero che la maggior parte delle donne è italiana con una percentuale del 63% ed età tra i 31 e i 50 anni, in prevalenza coniugate, con un grado di istruzione medio-alto (55%), e un lavoro (51%). “Un dato che necessita di una lettura articolata: la maggior parte delle vittime che si rivolgono ai centri è italiana e con una istruzione medio alta. Tuttavia, non significa che altre fasce siano escluse dalla violenza. Piuttosto sottolinea come persone con un livello diverso di istruzione, non occupate o di nazionalità diversa tendano a non chiedere aiuto, e questo deve spingere il legislatore e chi si occupa di assistenza a mettere in atto azioni per intercettare queste situazioni non rilevate. Il fine è quello di aiutare queste donne a trovare il coraggio di chiedere aiuto”, evidenzia Brescacin. Nelle case rifugio, il 79% delle donne ospitate è straniera senza occupazione e con una licenza di scuola secondaria di primo grado.
La relazione descrive anche il tipo di violenza più frequente: in primis psicologica (2.821) seguita da quella fisica (2.040). Considerato che per ogni donna possono essere state rilevate più tipologie, la violenza non fisica, ovvero, psicologica, cyberviolenza, stalking, economica è quella prevalente: 4.709 casi dichiarati rispetto ai 2.606 casi di violenza fisica, ovvero, fisica, sessuale e molestie, come per lo scorso anno. Infine, sui centri per il trattamento di uomini autori di violenza. Nel 2021 le cosiddette prese in carico, ossia i percorsi attivati dopo almeno tre colloqui di conoscenza iniziale, sono state 299 rispetto a 248 del 2020 e 215 del 2019, mentre si sono registrate 60 interruzioni del percorso (20%), causate prevalentemente da chiusura del percorso, abbandono volontario, motivi di lavoro, cambio di residenza, invio ad altri servizi, valutazione di non idoneità alla tipologia di percorso, incarcerazione, allontanamento da parte degli operatori per comportamenti inadeguati. “Tutte queste attività – continua Brescacin- sono state rese possibili dagli investimenti di risorse economiche pubbliche. La Regione Veneto, ha destinato un milione di euro per il sostegno dei percorsi di autonomia lavorativa, abitativa e sociale elaborati dai centri antiviolenza e dalle case rifugio”. A cui si aggiungono due milioni e 354.989,26 euro di fondi statali, di cui un milione 626.989,26 per il finanziamento dei centri antiviolenza e delle case rifugio già operative, e i restanti 728.000 per interventi che le Regioni potevano scegliere di finanziare in armonia con la programmazione dei singoli territori. “Il coordinamento territoriale è fondamentale per intervenire con maggiore efficacia e promuovere strategie operative condivise”, conclude Brescacin.