Che amarezza. Tra l’altro a me non è ancora arrivato nulla. So solo quello che leggo sulle agenzie e sui giornali”. Così a La Stampa l’ex ministro della Salute Roberto Speranza riferendosi all’inchiesta della procura di Bergamo nella quale deve rispondere di epidemia colposa e omicidio colposo plurimo.
Accuse che “fanno male, pesanti, ancora di più perché io ho la coscienza a posto e da ministro ho dato davvero tutto”, sottolinea. Speranza aggiunge però che ha sempre pensato che “chiunque abbia avuto una responsabilità nella gestione della pandemia debba essere pronto a renderne conto” e ricorda che “io avevo firmato il decreto per disporre la chiusura, ma poi non è stato controfirmato da Conte perché nella riunione il Cts si è deciso di aspettare visto che stavamo andando verso il lockdown generale, scattato a pochi giorni dopo”. Quanto al piano pandemico non aggiornato “per 180 mesi”, “si sono alternati sette governi, quello che non è stato fatto in anni, è stato in pochi mesi nel corso del mio mandato”.
“La cosa curiosa – conclude Speranza – è che sono indagato anche in altre inchieste ma per il motivo opposto, per aver chiuso troppo. No vax e no pass mi hanno denunciato per aver limitato la loro libertà, c’è chi mi chiede 100 euro di risarcimento per ogni giorno di lockdown”.
L’inchiesta di Bergamo e gli indagati
Epidemia colposa, omicidio colposo, rifiuti di atti d’ufficio, lesioni colpose e falso. Sono i reati contestati, a seconda delle posizioni, dalla Procura di Bergamo alle 19 persone, tra cui l’ex premier Giuseppe Conte, il governatore della Lombardia Fontana e l’ex ministro della Salute Roberto Speranza.
I pm hanno individuato 87 persone offese
L’accusa di epidemia colposa riguarda, tra gli altri, Angelo Borrelli, ex capo del Dipartimento della Protezione Civile, Silvio Brusaferro quale direttore dell’Istituto Superiore della Sanità, Luigi Cajazzo, all’epoca dei fatti Direttore generale della Sanità della regione Lombardia e Giulio Gallera, ex assessore regionale al Welfare. Gli indagati “in cooperazione tra loro, con Roberto Speranza, nelle rispettive qualità” hanno omesso l’attuazione del Piano Nazionale di Preparazione e risposta per una pandemia influenzale del 9 febbraio del 2006 nonostante una serie di documenti tra cui “una raccomandazione dell’Oms del 5 gennaio del 2020, recepita con circolare n. 445 del 9 gennaio 2020 dal Ministero della Salute”, “l’allerta di Oms e Paho (Pan American Health Organization) del 20 gennaio 2020 intitolato ‘Epidemiological update Novel coronavirus (2019 n-cov)’ con il quale si confermava la trasmissione del virus da persona a persona”. A Brusaferro viene inoltre contestato di avere proposto “di non dare attuazione al Piano pandemico, prospettando azioni alternative, cosi impedendo l’adozione tempestiva delle misure in esso previste”. Claudio D’Amario, all’epoca direttore generale della Prevenzione del Ministero della Salute e Borrelli sono anche accusati di non avere adottato azioni di sorveglianza.
Nei capi di imputazione, alle lettere C e D, la fattispecie più grave viene contestata in concorso con altri, tra cui i componenti del Comitato tecnico scientifico Franco Locatelli, Agostino Miozzo, Giuseppe Ippolito, Mauro Dionisio, Francesco Maraglino, Giuseppe Ruocco e Andrea Urbani, all’ex premier Conte e al presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana. Colpa consistita, tra le altre, “nel valutare, nel corso della riunione del 26 febbraio 2020, come non sussistenti le condizioni per l’estensione ad ulteriori aree della Regione, ed in particolare ai comuni della Val Seriana, tra i quali i comuni di Alzano Lombardo e Nembro, della zona di contenimento già istituita in Lombardia dal Dpcm del 23 febbraio con cui erano state previste per dieci comuni misure volte a ridurre i contatti tra le persone (c.d. “zona rossa”), nonostante nel corso della predetta riunione avessero dato atto “dei casi positivi al coronavirus in Italia che provengono da aree della Regione Lombardia diverse dalla zona rossa”, fino a quel momento istituita”. Gli indagati si sono inoltre, secondo l’impianto accusatorio, limitati a “proporre, anche nelle successive riunioni del 29.2.2020 e dell’1.3.2020, misure meramente integrative” senza prospettare l’estensione della zona rossa ai comuni della Val Seriana.
L’omicidio colposo è citato nel capo di imputazione alla lettera E e riguarda tra gli altri Conte e Speranza in relazione alla morte di circa sessanta persone avvenuta a Bergamo tra il 26 febbraio e il 5 maggio del 2020.
Tra le persone che rischiano di finire sotto processo ci sono anche Francesco Locati, in qualità di Dg della Assi di Bergamo Est, Roberto Alfio Paolo Cosentina, all’epoca dei fatti Direttore sanitario della Asst di Bergamo Est e Giuseppe Marzulli, nella qualità di Dirigente Medico di Struttura Complessa della Disciplina di Direzione Medica di Presidio Ospedaliero (comprendente gli Ospedali di Alzano Lombardo e Gazzaniga). Ai tre la Procura di Bergamo contesta l’epidemia colposa. Il reato di falso (ideologico e materiale) è invece contestato a Massimo Giupponi, all’epoca dei fatti direttore generale dell’Ats di Bergamo.