È dovuta intervenire La Corte Costituzionale per ristabilire il rispetto di un principio di diritto elementare, qual è la scelta di due coniugi, spesso obbligata, di vivere in abitazioni diverse.

In una società come è quella di oggi, fluida, veloce e flessibile, è sempre più frequente il caso di marito e moglie che per motivi di lavoro abitano in case diverse, vivendo la famiglia nei fine settimana o nei giorni liberi da impegni professionali.

Tuttavia, con la Finanziaria 2020, era stato stabilito che poteva essere considerata “abitazione principale” solo la casa “nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”, mentre, se i componenti del nucleo familiare avevano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi, l’agevolazione si applicava per un solo immobile, scelto dai componenti del nucleo familiare.

Tutto questo per evitare un fenomeno elusivo, che era ed è quello di spostare la residenza di uno dei coniugi nella seconda casa al mare o in montagna, così da evitare di pagare l’Imu, penalizzando chi effettivamente viveva in case diverse per motivi di lavoro o altro.

In pratica, per combattere i comportamenti di chi eludeva e per l’incapacità di qualche ente di svolgere controlli efficaci, si era andato a negare un diritto a chi al contrario teneva un comportamento perfettamente corretto.

Ma non tutti i Giudici sono stati d’accordo con tale previsione normativa, tant’è che è stata sollevata da diversi Tribunali l’eccezione di incostituzionalità.

Secondo la Consulta, infatti, la norma è incostituzionale perché va a violare ben tre principi di diritto sanciti dalla nostra Carta, tanto spesso richiamata e adulata dai nostri parlamentari, ma spesso bistrattata dalle leggi che escono dalle due camere.

Il primo è il principio di uguaglianza e ragionevolezza affermato dall’art. 3 della Costituzione, in quanto bastava banalmente essere una coppia di fatto senza nessun “contratto” matrimoniale, per usufruire del beneficio della doppia esenzione, mentre le coppie sposate o unite civilmente venivano escluse.

Gli altri articoli ad essere violati erano il 31 ed il 53, entrambi baluardi della famiglia. “La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia”, recita l’art. 31, ma a ben vedere la norma di legge del 2020 andava a scuotere proprio quel caposaldo della nostra società, qual è la famiglia.

Finalmente con la sentenza di ieri la Corte Costituzionale ha rimesso ordine, ripristinando i principi violati, e e reintroducendo il diritto all’esenzione dall’Imu per entrambe le case dei coniugi.

E, come ha ben osservato la Consulta nelle sue conclusioni, deve essere compito e cura degli enti locali verificare che la separazione della famiglia sia reale e che i coniugi dimorino effettivamente nelle due case, ad esempio verificando le utenze, e non certo norme anticostituzionali e violazioni di principi di diritto.

Fabrizio Carta

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