La situazione è drammatica. Le bollette astronomiche di energia e gas non solo stanno facendo lievitare i prezzi ma gli imprenditori rischiano di chiudere baracca e burattini. Qualcuno pure per sempre. Stefano Brunello, presidente del mandamento dell’Altovicentino di Apindustria Vicenza (che rappresenta 220 imprese) lancia l’allarme: o lo Stato mette mano al portafogli, o qui c’è da piangere. Non c’è più tempo da perdere e Brunello, senza tanto girarci attorno, parla di un serio rischio di “bomba sociale”.
Senta Brunello, cos’ha fatto la politica sinora?
«Nei giorni scorsi è stato firmato un decreto ma è insufficiente. Si parla di un 15 per cento di credito d’imposta ma non serve. Lo Stato dovrebbe intervenire, pagando il 60-70 per cento della bolletta, almeno finché non sarà risolto il problema».
Ma sarà risolto sì o no?
«Se lo Stato non si fa carico di questo extra costo, allora si deve pensare di far finire la guerra e riprendere i rapporti precedenti con chi ci dava gas ed energia elettrica: l’Italia non è autosufficiente».
Si prospetta una bomba sociale?
«Sì. Chi potrà usare gli ammortizzatori, lo farà, sospendendo la produzione ma lo Stato dovrà spendere un sacco di soldi piuttosto che aiutare gli imprenditori a tenere aperto. E molta gente rimarrà a casa. Se passasse subito il temporale, la coda sarà, comunque, lunga con la ripresa delle commesse. Anche chi vuole proporre prodotti nuovi, ha bloccato tutto».
Di recente c’è stata una riunione tra associati. Cos’è emerso?
«Un disastro, perché ci sono aziende che non possono lavorare, visti i rincari di 8-10 volte del costo della corrente: è passata da 0,06 al kilowattora a 0,6. Qualcuno ha pure problemi con il gas, aumentato di 6-7 volte».
Come vi state difendendo?
«Alcuni imprenditori vanno avanti, perché non hanno un grosso consumo di energia elettrica e realizzano prodotti prori. Questo permette loro di avere della marginalità. Chi lavora per conto terzi, non ha più la forza di andare avanti».
C’è il rischio di chiusure?
«A dire il vero, qualcuno ha già sospeso la produzione e si sta aspettando l’intervento della politica. Un’azienda di Carrè ha lasciato a casa 18 persone; aveva commesse per due anni, poi ha ridotto i turni, ha fatto la settimana corta e ora ha spento gli impianti. Pensare che avevano investito un milione e mezzo di euro per la produzione».
E, insisto, c’è il timore che poi queste realtà non aprano più?
«Sì, perché chi chiude, poi perde la fetta di mercato. Dove ci sono aumenti dei costi di produzione per la corrente e il gas, siamo alla tragedia. Il Nordest, l’Altovicentino e il nord Italia sono il motore dell’economia italiana: se cadono loro, crolla il sistema».
Che ultima parte dell’anno sarà?
«Le tavole di Natale saranno vuote, sia quelle degli imprenditori che dei dipendenti. Siamo dentro a un disastro».
Nel resto d’Europa, come si è messi?
«Contrariamente a quanto si dice, all’estero sì ci sono dei timori ma non hanno i nostri stessi problemi: Francia, Inghilterra, Germania, Slovenia hanno le centrali elettriche e sono meno in sofferenza. Invece l’Italia deve comprare tutto. Ora per sopravvivere, dovremmo fare delle scelte drastiche».
Quanto c’è di speculazione in tutto questo?
«È solo speculazione. Serviva mettere un tetto. Secondo me, lo Stato dovrebbe garantire sempre i servizi per vivere e che il cittadino non rimanga senza acqua, corrente, gas, telefonia e raccolta rifiuti».
Cosa state facendo come Apindustria?
«Abbiamo preparato un documento con delle richieste dell’industria manifatturiera alla politica: si va da un piano per l’energia sino alla transizione ecologica, passando per l’innovazione e la formazione».
Si parla tanto d’imprese ma qui sono a serio rischio pure le famiglie.
«Se lo Stato non decide di fare un debito, come lo chiamo io, per tenere aperte le imprese, non avremo i soldi per pagare la cassa integrazione. Durante il Covid, il governo ha dato dei ristori e dando degli aiuti economici: ora è assente nonostante l’uragano. E questo mi fa rabbia. Manca la volontà politica per fare le cose. In Inghilterra hanno messo denaro fresco. Ora bisogna salvaguardare il tessuto produttivo».
Alessandro Ragazzo