“La mafia uccide, il silenzio pure”, ripeteva Peppino Impastato. Lo sapeva bene lui che era nato a Cinisi in provincia di Palermo da una famiglia mafiosa: il padre, Luigi, era stato spedito al confino durante il periodo fascista e lo zio, Cesare Manzella, capomafia del paese, era rimasto ucciso in un attentato nel 1963. Da ragazzo, lo strappo con il padre, che lo cacciò via di casa, e l’avvio dell’attività politica, all’insegna della lotta alla mafia.
“Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!”: per questo Peppino, oltre a scrivere, costituì prima, nel 1976, il gruppo ‘Musica e cultura’ grazie a cui riuscì a dare vita ad attività culturali che andavano dal cineforum fino al teatro e ai dibattiti; poi, nel 1977, la fondazione di ‘Radio Aut’, la radio indipendente e autofinanziata da cui Impastato denunciava gli affari illeciti dei capi mafia locali, in particolare quelli di Gaetano Badalamenti, che ironicamente Peppino chiamava ‘Tano Seduto”, al centro del scambi internazionali di droga, grazie al controllo strategico dell’aeroporto di Punta Raisi.
In molti, nel paese e non solo, avevano iniziato a seguirlo durante ‘Onda pazza a Mafiopoli’, la trasmissione di stampo satirico in cui si faceva beffa tanto dei mafiosi che dei politici. Poi, nel 1978, la discesa in campo al fianco della ‘Democrazia Proletaria’ per le elezioni comunali. Una campagna però che Peppino non riuscì a portare a termine perché venne ucciso assassinato prima, per mandato di Gaetano Badalamenti, tra l’8 e il 9 maggio 1978. Una morte rimasta per ore nell’ombra, per via del ritrovamento, nello stesso giorno, del presidente DC Aldo Moro in via Caetani a Roma, ucciso per mano delle Br.
Il corpo senza vita di Peppino Impastato venne posto lungo i binari della ferrovia Trapani-Palermo e fatto saltare in aria con il tritolo, nel tentativo di depistare gli investigatori e avvalorare l’ipotesi di un suicidio. Nonostante lo stallo delle indagini, agli abitanti di Cinisi era chiaro quanto avvenuto e molti elettori, giorni dopo l’uccisione, decisero di votare comunque il suo nome riuscendo a farlo eleggere ‘simbolicamente’ al Consiglio comunale.
Peppino sapeva il rischio che correva: “Nessuno ci vendicherà, la nostra pena non ha testimoni”. Ma la testimonianza del giornalista venne portava avanti dal fratello Giovanni e dalla madre Felicia che, grazie ai compagni del Centro studi siciliano di documentazione, riuscirono ad aprire l’inchiesta giudiziaria che solo molti anni dopo però, li avrebbe condotti alla verità. Dopo l’archiviazione del Tribunale di Palermo nel 1992, per la risoluzione del caso, fu necessario attendere il 1996, quando il pentito Salvatore Palazzolo, indicò in Badalamenti e nel vice Vito Palazzolo i mandanti dell’omicidio.
Numerose le iniziative che ricordano Peppino Impastato: oltre all’annuale Forum Sociale Antimafia, a lui è dedicato il film del regista Marco Tullio Giordana, dal titolo ‘I cento passi”, gli stessi che dividevano la casa di Badalamenti da quella dell’attivista. E nel 2004, la laurea honoris causa in filosofia concessa dall’Università di Palermo.
La storia di Impastato ci ha insegnato a non smettere mai di cercare la verità, a lottare per ottenerla. Una verità che per troppo tempo è stata allontanata da un depistaggio ordito da pezzi dello Stato. Impastato pagò con la vita l’avere sfidato la mafia in un territorio in cui si era stabilito un sistema di relazioni tra apparati dello Stato e mafiosi che governavano la Sicilia. La sua figura rimane un punto di riferimento per quanti hanno scelto di schierarsi contro la mafia e i suoi legami con la politica, facendo scelte di rottura senza compromesso. Il recupero del casolare dove fu ucciso è un ulteriore contributo alla gratitudine e alla ammirazione da parte di tutti e uno stimolo anche di conoscenza dell’impegno per i diritti delle future generazioni”.