Sulla integrazione delle cure e la continuita’ assistenziale Asl e ospedali promossi – ma con qualche riserva – e Medici di famiglia rimandati a settembre per ancora scarsa integrazione con gli altri professionisti sanitari. E’ in estrema sintesi il quadro offerto dalla Ricerca su ”Misurazione e valutazione dell’integrazione professionale e sulla continuita’ delle cure” promossa dalla FIASO (la Federazione Italiana delle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere) e condotta dalla stessa Federazione in partnership con il CERGAS della Bocconi. Uno spaccato quanto mai attuale dopo l’approvazione del cosiddetto ”decretone sanita”’, che chiede ai medici di medicina generale di aggregarsi e di ”dialogare” maggiormente con i ”colleghi” ospedalieri per garantire una presa in carico integrale del paziente, prima durante e dopo il ricovero.

La Ricerca, presentata a Roma, costituisce la seconda fase del Laboratorio FIASO sul Governo del Territorio ed analizza il livello di integrazione delle cure tra medici di famiglia, ospedalieri, specialisti ed infermieri per tre patologie croniche che richiedono una prevalenza di cure sul territorio: diabete in pazienti con danno d’organo, insufficienza respiratoria grave connessa a broncopolmonite, tumori in fase avanzata seguiti in Assistenza Domiciliare Integrata.

Il primo risultato dell’indagine – condotta su un campione di Asl rappresentativo – e’ che ad incidere positivamente sulla integrazione di medici ed infermieri e sulla continuita’ assistenziale percepita dai pazienti non sono tanto i diversi modelli organizzativi quanto piuttosto la presenza fisica dei professionisti nella stessa struttura, la gravita’ della condizione clinica dei pazienti e la maggiore apertura degli stessi professionisti verso l’integrazione.

Gli indici di integrazione diventano pero’ variabili se applicati a medici di famiglia e specialisti, soprattutto a causa della frequenza degli scambi informativi, mentre e’ buona, sia per gli specialisti che per i medici di medicina generale, la condivisione dei percorsi terapeutici.

Decisamente insufficienti invece i sistemi informativi adottati da tutti i professionisti: solo il 2% utilizza la mail mentre la forma di comunicazione piu’ utilizzata resta quella della cartella clinica o di altri strumenti cartacei portati direttamente dal paziente al momento della visita.

Riguardo l’offerta dei servizi delle aziende sanitarie e ospedaliere, anche se con elevata variabilita’, tutte hanno strutturato percorsi organizzati per il diabete, pur con una rilevante componente ospedaliera rappresentata dai centri antidiabetici. Mentre, per le insufficienze respiratorie gravi, quasi tutte le aziende presentano percorsi diagnostico-terapeutici formalizzati ma sbilanciati sul ruolo delle unita’ pneumologiche ospedaliere, con una scarsa integrazione tra queste e l’ambito territoriale.

Integrazione quasi assente per i pazienti oncologici per i quali tutte le aziende garantiscono pero’ una elevata intensita’ assistenziale, percepita positivamente dai pazienti. Nella scala da 0 a 5 l’indice di continuita’ assistenziale percepita e’ infatti pari a 4,42 per i pazienti oncologici, contro il 3,45 di quelli pneuomologici e il 3,52 dei diabetici. Valori – evidenzia l’indagine – che non sono pero’ correlati all’effettiva integrazione dei professionisti e agli sforzi compiuti dalle aziende per garantire la unitarieta’ del percorso diagnostico-terapeutico. A prevalere nel giudizio sono infatti quasi esclusivamente i rapporti interpersonali – se non affettivi – tra medico e paziente. (asca)

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