Stretta del Consiglio regionale del Veneto sulle baby gang. L’assemblea ha infatti approvato oggi a maggioranza una mozione presentata da Stefano Valdegamberi, eletto in lista Zaia e subito passato al gruppo misto, come già nella precedente legislatura, che prevede un intervento deciso della Regione. Nello specifico, la mozione propone di creare- in collaborazione con le forze dell’ordine- una banca dati con relativo osservatorio permanente; introduce il principio della responsabilizzazione delle famiglie dei minori coinvolti fino alla decadenza di ogni beneficio statale, comunale e regionale, inclusa l’eventuale assegnazione di alloggio pubblico; prevede percorsi rieducativi e servizio sociale obbligatorio per i componenti delle baby gang. Contrarie le opposizioni, secondo cui azioni di questo tipo sono “irrealizzabili” e comunque “estranee alle competenze” della Regione. “Vorrà dire che chiederemo conto alla Giunta, ogni sei mesi, degli esiti applicativi di questi impegni”, provoca il capogruppo dem Giacomo Possamai.

L’esperto: ‘ il 6,5% dei minori fa parte di una banda’

Secondo i dati dell’Osservatorio nazionale sull’adolescenza, istituito presso il ministero per la Famiglia, il 6,5% dei minorenni fa parte di una banda, il 16% ha commesso atti vandalici, 3 ragazzi su 10 hanno partecipato a una rissa. Mentre in tante città , come Bologna, Napoli, Milano o Roma, la criminalità di gruppo che lega i giovanissimi è motivo di allarme. “Questi gruppi prendono talvolta come esempio i modelli delle bande sudamericane o, anche, quelli proposti dalle serie televisive- continua Bernardo- Hanno uno o più leader carismatici e spesso si accaniscono contro i coetanei o, comunque, contro chi percepiscono come vulnerabile. Spesso bevono molto e fanno uso di sostanze stupefacenti. Il loro intento è quello di amplificare, divulgandoli sui social, i loro gesti violenti. Quel mix di rabbia e disagio che spinge all’affiliazione al gruppo, attraverso il quale i ragazzi possono esprimere la loro rabbia, molto spesso si sviluppa in contesti familiari privi di mezzi e multiproblematici“. Tuttavia il pediatra precisa che secondo il report del Servizio analisi criminale “si registra anche la presenza di gang i cui protagonisti appartengono a famiglie di rango sociale elevato; in tali casi, al contrario, l’ambiente ‘non degradato’ ma assolutamente ‘agiato’ li spinge a tenere comportamenti connotati da elevata prepotenza ed arroganza per sconfiggere la noia della routine giornaliera e del benessere ed attirare su di sé l’attenzione degli adulti, talvolta, genitori non molto presenti nel loro percorso di crescita”.

Le baby gang “seguono spesso uno schema ben preciso- spiega Bernardo- hanno un contatto con la vittima contro la quale usano violenza verbale, poi, violenza fisica, creano terrore e panico. Nelle baby gang c’è un leader, ognuno ha un ruolo, e il gruppo compie reati contro i singoli o contro la città. Gli adolescenti della baby gang abbandonano la scuola, rifiutano le regole e sono aggressivi con gli altri adolescenti e con gli adulti. Di solito le tipologie di reati sono differenti a seconda del contesto sociale di appartenenza”. Per esempio Bernardo evidenzia come “tra i ragazzi del ceto medio borghese, i reati di violenza sono contro la persona o anche rapine finalizzate alla ricerca di oggetti status symbol (cellulari, giubbotti ecc.). Molto spesso la gravità dell’atto commesso è ignorata dai ragazzi, è molto frequente che di fronte alle violenze i genitori o i ragazzi stessi dicano che si è trattato di una ‘ragazzata’”. Ma “dare un significato positivo ad una azione considerata reato dal codice penale, è una delle modalità con cui si esprime il disimpegno morale– evidenzia il medico- Con il costrutto del disimpegno morale lo psicologo Bandura riconosce nei meccanismi di dislocazione e di diffusione della responsabilità la possibilità per l’individuo di non sentirsi responsabile dell’azione commessa, mettendo così a tacere il contrasto tra comportamento agito e standard morali. È come se il reato nascesse improvvisamente senza una progettazione reale”.

Oggi “con il supporto della tecnologia, la condivisione aumenta la portata e alimenta maggiormente gli animi- continua Bernardo- Si cerca intenzionalmente la popolarità e questo rappresenta un’ulteriore sfida, una condizione che fa sentire i ragazzi ancora più potenti. Tutte queste aggressioni vengono, infatti, riprese attraverso gli smartphone e condivise nelle varie chat e i profili social. Ormai anche le gang si sono digitalizzate e, spesso, condividono le loro ‘gesta’ sui vari social media creando gruppi appositi che fungono da rinforzo e condivisione di condotte delinquenziali. A volte gli adolescenti utilizzano questi canali per rendere direttamente pubblico il loro operato, anche come sfida aperta alle autorità, e per essere rinforzati dai ‘mi piace’ della rete che li rendono ancora più onnipotenti”. Le baby gang “ruotano intorno al meccanismo della deresponsabilizzazione e dell’effetto branco- precisa l’esperto- perché nel gruppo è come se ci fosse una divisione della responsabilità, la condivisione di ciò che viene fatto aumenta anche la portata e la potenziale gravità delle azioni commesse. Ci si sente meno colpevoli e ciò che viene fatto in gruppo con elevata probabilità non si farebbe mai da soli. La spinta degli altri aiuta e tante volte lo si fa appunto perché lo fanno altri membri del gruppo, non ci si può tirare indietro, significherebbe essere dei codardi e dei vigliacchi. La gang ha una sorta di modus operandi e una sorta di ‘codice’ da rispettare, altrimenti si è tagliati fuori. Si arriva a sviluppare una identità di gruppo che funziona in maniera differente rispetto a quella individuale, in cui ci si riconosce, identifica e si appartiene”, conclude Bernardo.

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