È in corso a Lake Tahoa in California una importante conferenza dei capi della Polizia nel corso della quale, al centro dei lavori, c’è quest’anno il problema del suicidio dei poliziotti e della loro assistenza psicologica. Sono stato invitato, unico esperto europeo, per presentare il nostro modello di supporto psicologico ai poliziotti che sarà probabilmente adottato anche in USA.
Si tratta di un modello svincolato dalle varie amministrazioni e assolutamente anonimo. A proposito del tasso di suicidi elevato (sia tra i poliziotti italiani che tra quelli americani) va sottolineato che i poliziotti e i militari hanno spesso (in Europa e negli USA) dei tassi di suicidio maggiori rispetto ad altre categorie professionali.
Altre categorie professionali subiscono dei livelli di di-stress analoghi ed a volte maggiori dei poliziotti e dei militari ma presentano dei tassi di suicidio minori rispetto ai poliziotti e ai militari. Perché allora tra i poliziotti e tra i militari il tasso (statistico) degli omicidi è così elevato?
Gli Psicologi e gli Psichiatri, entro certi limiti, hanno raggiunto negli anni un discreto successo clinico nel trattamento degli stati depressivi e dell’angoscia e di conseguenza nella prevenzione del suicidio, utilizzando psicoterapia, farmaci efficaci e supporto psicologico.
Però i poliziotti e i militari hanno riluttanza a chiedere aiuto a Psicologi e Psichiatri quando si trovano in uno stato di angoscia e depressione perché la maggior parte delle organizzazioni di polizia e militari quando intercettano una debolezza psicologica (anche leggera a risolvibile) in un loro dipendente lo mettono al margine e spesso lo allontanano.
Per un poliziotto o un militare dichiarare (pubblicamente) di attraversare un periodo difficile dal punto di vista psicologico vuol dire avere certamente una grande limitazione sulla propria carriera e spesso addirittura vuol dire perdere il posto di lavoro. Le organizzazioni di polizia e militari ritengono infatti che una qualsiasi condizione di disagio psicologico (anche leggero e risolvibile) possa mettere a rischio l’efficienza lavorativa del proprio dipendente e lo considera anzi potenzialmente pericoloso in considerazione del fatto che utilizza delle armi. Le armi inoltre possono essere utilizzate per suicidarsi e quindi vengono prontamente rimosse.
Ma coloro che all’interno delle organizzazioni militari e di polizia decidono che un loro dipendente possa essere pericoloso per sé e per gli altri, sono Psicologi o Psichiatri? No, sono altri poliziotti o militari, semplicemente con un grado gerarchico più elevato.
E questa azione di “tutela” del poliziotto, quando eseguita senza sufficienti motivazioni, può provocare dei danni psicologici e psicosociali tremendi in colui che la subisce? Decisamente sì. E di questo i poliziotti e i militari sono coscienti e per tale motivo non chiedono aiuto psicologico quando ne sentono il bisogno, e se la loro condizione si aggrava li può condurre in alcune situazioni al suicidio. Quindi, secondo questa logica, è mia opinione che quando un poliziotto o un militare si suicida la colpa maggiore non è la sua ma di coloro che non gli hanno consentito di chiedere aiuto quando si è trovato in una condizione di disagio, “privilegio” che invece è concesso ad ogni altro lavoratore.
Unarma sta quindi dimostrando di essere all’avanguardia per quanto riguarda i sistemi di supporto e tutela psicologica dei suoi iscritti e le sue attività hanno destato interesse anche negli Stati Uniti. Il modello di supporto psicologico dei Carabinieri deve quindi ispirarsi a quanto di più innovativo ed efficace è presente nello scenario scientifico internazionale.
Marco Strano
Presidente di Italian Thin Blue Line e Direttore dei Dipartimento di Psicologia Militare e di Polizia di UNARMA, associazione sindacale Carabinieri