Nativa del Sudan, dove nasce nel 1869, viene rapita al’età di sette anni e venduta più volte sul mercato delle schiave; i suoi rapitori le danno il nome di Bakhita («fortunata»). Nel 1882 viene comprata a Kartum dal console Italiano Calisto Legnani che la affida alla famiglia di Augusto Michieli e diventa la bambinaia della figlia: quando la famiglia Michieli si sposta sul Mar Rosso, Bakhita resta con la loro bambina presso le Suore Canossiane di Venezia. Qui ha la possibilità di conoscere la fede cristiana e nel 1893, dopo un intenso cammino, decide di farsi suora canossiana per servire Dio che le aveva dato tante prove del suo amore. È stata canonizzata da san Giovanni Paolo II nel 2000.
A ben spiegare il tutto è stata Madre Maria Carla Frison all’inizio della messa al Duomo: “Nel clima sinodale che la Chiesa ci invita a vivere ascoltandoci tutti, abbiamo guardato a Madre Bakhita per cogliere la segreta ricchezza del suo cuore che non aveva il tempo di ascoltare sé stessa per accogliere gli altri. Madre Bakhita tornando al Padre 75 anni fa ci ha promesso un ascolto dal Cielo, se il Signore gliel’avrebbe concesso; ma il suo fu pure un ascolto del cuore di chi a lei si rivolgeva; un ascolto per indicare la misura più alta, a chi le confidava preoccupazioni; un ascolto operoso e discreto; ed ancora: un ascolto efficace e gioioso, pronto ad accogliere i minimi desideri; ascolto della Parola di Dio, con cui si intratteneva e donava; un ascolto fatto preghiera e annuncio, quando indicava alle fanciulle “el Paron”; un ascolto con deferenza e rispetto, se cercata da chi la voleva conoscere; un ascolto di riparazione, per chiedere misericordia, offrendo le sue sofferenze. Abbiamo visto in lei non ciò che faceva ma di chi si occupava. Dall’ascolto nasce la cura di ciascuno, perché la sua occupazione era amare Dio, amarlo ascoltando, accogliendo tutti col cuore stesso di Dio”.
Padre Carlassare, visibilmente commosso, ha accennato anche al suo attentato subito nella notte del 25 aprile 2021 — trenta minuti dopo la mezzanotte — quando hanno fanno irruzione nella sua canonica due uomini armati che prima lo hanno picchiato e poi gli hanno sparato quattro colpi di arma da fuoco raggiungendolo alle gambe. Ferito, in condizioni non gravi, il missionario era stato prima ricoverato nell’ospedale gestito dal Cuamm di Rumbek, e successivamente trasferito in quello della capitale Giuba e infine a Nairobi. “Spero di poter tornar presto in Sud Sudan e stasera chiedo a Bakhita la grazia di saper perdonare e mettermi in ginocchio davanti a chi mi ha fatto del male come avrebbe fatto lei con i suoi rapitori e i suoi padroni. L’amore viene da Dio e se non perdoniamo non possiamo dirci discepoli del Maestro di Nazareth”.
Nel contesto delle preghiere dei fedeli ha preso la parola anche il presidente dell’Associazione Bakhita Schio-Sudan, Gianfrancesco Sartori: “Bakhita, spezza le catene di questa prigionia che è il Covid che ci ha tarpato le ali; ridonaci tu l’entusiasmo per ripartire”.
Al Santuario di Bakhita ha fatto sosta nel pomeriggio di ieri l’attrice senegalese Fatou Kine Boye, che ha interpretato Bakhita in “Bakhita – La santa africana”, miniserie TV del 2009 diretta da Giacomo Campiotti. Da ventun anni in Italia, Fatou, oggi 43 enne e commessa in un negozio d’ abbigliamento a Roma, aveva spiegato a suo tempo: «In Senegal ci sono più musulmani che cattolici, ma viviamo in pace. Per me sono religioni in fondo uguali, entrambe credono in Dio. Prima di questa fiction non ero mai entrata in una chiesa. Mi sono molto emozionata quando in quella di Schio ho visto il corpo imbalsamato di Bakhita”.
Sandro Pozza