Una nuova storia arriva da Schio, un nuovo romanzo che ha come protagonista un uomo irrisolto ma virtuoso, un uomo perseguitato da se stesso e da quella vita mediocre che lo travolge quotidianamente.

Marco Pettinà racconta la vita di Jacob in ‘Colpa Tua’, il suo secondo romanzo dopo ‘Legati da una separazione’.

48 anni, nato a Cittadella ma residente a Schio, il libero professionista ha preso ancora una volta qualche spezzone della sua vita e l’ha messo nero su bianco, usandolo come ispirazione nella vicenda del protagonista.

Sempre attento alle opportunità della vita, Pettinà si è messo in gioco nel mondo dell’arte, raccontando storie delicate ed introspettive.

“Le mie opere portano a riconoscere l’essere umano per quello che raramente riesce a rivelarsi – ha spiegato – Mi confronto, vengo giudicato, ascolto e raccolgo tutto quello che le persone dicono e soprattutto, non dicono”.

‘Colpa tua’ è il suo secondo romanzo, ambientato in parte in Florida, dove l’autore ha vissuto per un periodo e in parte a Vicenza, nella città palladiana alla quale l’autore è molto legato e che è un importante scenario che va ad impreziosire il romanzo.

Giacobbe (o Jacob) “E’ un uomo felicemente triste, uno di quelli con aria ombrosa, forse perseguitata. Malinconico e recidivo, sempre abile a tradire se stesso ma non gli altri. E’ molto dubbioso, fiducioso delle sue perplessità. Vive delle realtà che non vorrebbe appartenessero a nessuno e raramente crede in un lieto fine. E’ un uomo virtuoso, un uomo capace di farti stare bene anche se non ti reputa abbastanza importante. Per lui, sei veramente importante quando riesci a copiarlo, quando riesci a compiere i suoi misfatti. Solo così, gli è facile spartire le sue colpe”.

Giacobbe è il protagonista di questo romanzo. Un uomo perseguitato da se stesso e da quella vita mediocre che lo travolge quotidianamente. Riesce in qualche modo a sfuggire da una routine che lo stava lentamente consumando. Ma si fa trasportare. Troppo. E quando riconosce di non essere più adatto a niente, viene gradualmente abbandonato dalla ragione, cedendo inesorabilmente a quella che sarebbe poi diventata la sua unica ragione di vita. E’ un uomo fondamentalmente orfano di ambizioni. Inseguito quotidianamente dal suo ‘male mentale’, ricerca adrenalina in cose malsane. E rinasce, incuriosito da tutto quello che non conosce, anche l’amore. I suoi misfatti sono ossigeno, le sue ire lo sollevano. Gli riesce tutto alla perfezione. Ma poi, qualcosa cambia.

“Ho scritto questo romanzo perché avevo  voglia di raccontare un qualcosa che spesso viene insabbiato – ha spiegato l’autore – E’ dedicato infatti a tutte quelle brave persone che per troppe ragioni non riescono ad esserlo, neppure nel loro profondo”.

La prefazione di Diego Fusaro

Filosofia del noir, di Diego Fusaro

Il libro che il lettore stringe tra le mani non è di quelli che lasciano indifferenti. Lo si può apprezzare oppure no, ma in ogni caso, dopo averne terminato la lettura, non si è più come si era prima che la si principiasse. È un libro che sconvolge il lettore e lo costringe a riflettere, a meditare su di sé e sul mondo circostante, ad analizzare le cose da una prospettiva inusuale, profondamente differente rispetto a quella con cui si è soliti rapportarsi al reale. Marco Pettina’ lo teorizza apertamente, allorché afferma quanto segue: “volevo creare un personaggio e dargli vita, ma è accaduto l’inverso”. Sempre l’autore, spiega senza perifrasi che è l’uomo stesso, nella sua vivente personalità, a rappresentare il miglior romanzo della propria vita, dacché, a rigore, la vita stessa è un romanzo, gravido di peripezie e di colpi di scena, di battute d’arresto e di rapide evoluzioni; un romanzo che, necessariamente, ha il suo finale nella morte – evento certo, ma con data e modalità incerte – e che, nel tempo che la separa alla nascita, interminabili sorprese riserve a chi la vive, venendo in essa scaraventato o – direbbe Heidegger – “gettato” (geworfen). Vi è molto di filosofico nel testo di Pettina’, e soprattutto il rovesciamento del punto di vista comune, vuoi anche del sensus communis con cui i più si orientano nel groviglio del reale. Diceva Hegel che la filosofia è, ab intrinseco, rovesciamento del punto di vista egemonico, cosicché il mondo quale appare agli occhi della ragione pensante di chi filosofeggia appare come eine verkehrte Welt, come “un mondo capovolto”. Proprio come, per converso, appare capovolto ai più il mondo per come viene raccontato dai filosofi.

Ebbene, anche leggendo il libro di Pettina’, che pure è un romanzo noir e non un saggio di filosofia, si prova questa sensazione dalla prima all’ultima pagina: il lettore è pro-vocato, letteralmente chiamato a uscire dalla propria visione abituale e ad assumere una nuova prospettiva. Con quest’ultima, guadagnata seguendo le indiavolate vicende narrate nel romanzo, può infine egli stesso pensare altrimenti la realtà, ravvisandovi aspetti, elementi e determinazioni che
precedentemente non aveva colto, né anche solo sospettato potessero esistere. Non è compito di chi redige una prefazione anticipare i contenuti del libro, né svelare la trama, in specie se si tratta – ed
è il caso – di un romanzo noir, che il lettore deve attraversare autonomamente, senza pre-giudizi e senza anticipazioni. Mi limito, perciò, ad asserire che l’opera di Pettina’ potrebbe anche,
in un certo senso, rientrare nel genere del Bildungsroman, del “romanzo di formazione”, sia pure in un’accezione assai particolare, che sarà il lettore stesso a scoprire, quando affronterà, pagina dopo pagina, l’opera che ora stringe tra le mani. La formazione che si acquista, affrontando il testo, non è solo quella a cui poc’anzi facevo riferimento, ossia l’attitudine a guardare alla realtà da un differente prospettiva. Oltre a questa, ve ne è un’altra, non meno importante e anch’essa connessa
robustamente con il modus operandi proprio della filosofia. La vorrei sintetizzare in una formula: de omnibus dubitandum est, ossia, letteralmente, occorre dubitare di tutto e di tutti, senza mai consegnarsi alla fiducia ingenua e inerziale. Si tratta, a ben vedere, di un insegnamento di non poco conto, che si può maturare per via filosofica e, per così dire, “astratta”, magari leggendo Platone, o, un modo più doloroso, per via autobiografica, apprendendo sulla propria carne viva le esiziali
conseguenze della fiducia mal riposta e dell’assenza di spirito critico.

di Redazione Altovicentinonline

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