Non c’è spazio per le interpretazioni sul caso di Alioune Ndiaye, il diciannovenne di origine senegalese che lo scorso 7 agosto ha perso la vita lungo la Maranese mentre in sella alla sua bicicletta si stava recando al lavoro alle prime luci dell’alba: la responsabilità del tragico evento, è da imputarsi per intero all’auto che lo ha investito.
A stabilirlo inequivocabilmente, la perizia depositata nei giorni scorsi dall’Ingegnere incaricato dalla Procura di Vicenza che dopo mesi passati a sviscerare minuziosamente tutti gli aspetti legati all’esatta dinamica del sinistro, ha affidato il responso agli atti ora a disposizione della magistratura.
“La causa tecnica del sinistro” – conclude la tesi del consulente del Palazzo di Giustizia berico – “è stata individuata nella condotta di guida del Signor Dalla Vecchia Nicolò, conducente dell’autovettura Alfa Mito, che non avvedendosi della presenza del velocipede condotto dal Signor Ndiaye Alioune, ne perveniva a collisione urtandolo violentemente da tergo, in violazione di quanto disposto dall’articolo 149/1 del vigente codice della strada. Nessuna responsabilità nella produzione dell’evento si è rilevata nella condotta del ciclista“.
Un responso che inevitabilmente aggrava la posizione del giovane scledense, la cui difesa non avrà ora vita facile stante anche la conferma di un tasso alcolemico accertato pari a 1,95 g/L, già di per sè stesso sanzionabile con una multa compresa tra i 1500 e i 6000 euro, oltre che con arresto dai 6 mesi ad 1 anno, sospensione della patente da 1 a 2 anni e sequestro del veicolo: pene incrementate di un terzo in caso di soggetti con patente conseguita da meno di tre anni e raddoppiate se, come nella vicenda di Alioune, il conducente del veicolo sia responsabile di un incidente stradale.
Intanto, la famiglia del ragazzo originario del Senegal e da anni residente a Marano Vicentino, è ancora chiusa in un lacerante silenzio che solo l’avvocato Deborah Squarzon cerca di interpretare con parole tuttavia molto chiare e significative: “Ci aspettiamo giustizia, i miei assistiti non sono interessati a puntare il dito contro alcuno, ma il dato di fatto è che un ragazzo agli inizi di un percorso di vita è ora sepolto in terra africana, senza peraltro averne colpa. Spiace inoltre constatare che, aldilà della vicenda giudiziaria, ad oggi ancora non siano mai pervenute le scuse dirette, anche tramite uno scritto, da parte di Dalla Vecchia”.
Un dolore nel dolore anche per i molti amici di quello che soprattutto tra i coetanei era conosciuto come Ali: un ragazzo umile e schietto, appassionato di musica e di Tik Tok. Di lui oggi resta un volto, nelle foto di tanti telefonini che ancora lo ritraggono col suo inconfondibile sorriso: ignaro del destino beffardo e di quei minuti fatali che gli sono costati il futuro.
Marco Zorzi